Mentre l'Europa si appresta a uscire dalla crisi economico-sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19 un paese minaccia l'ordine europeo, la Francia. Proprio quando il Vecchio Continente si presentava in un inedito scenario di armonia, con i Verdi europeisti e anti-austerità dati favoriti ad assumere la guida della Germania questo autunno, il famigerato Patto di Stabilità dei falchi del debito sospeso, il tumultuoso capitolo Brexit chiuso e il nuovo governo Draghi in qualche modo "garante" dell'Italia, insomma proprio quando l'Europa sembrava pronta a lasciarsi alle spalle l'austerità fiscale e le sterili polemiche per abbracciare un ambizioso programma di debito comune per far ripartire l'economia continentale venti minacciosi hanno iniziato a levarsi a Parigi. Venti pericolosi, venti di guerra civile.
Il 21 aprile un nutrito gruppo di generali e ufficiali, in pensione e non, delle varie branche delle forze armate francesi (Esercito, Marina, Aviazione, Gendarmeria, Legione Straniera) hanno pubblicato una lettera aperta dai toni decisamente inquietanti: appellandosi ai propri "camerati", hanno attaccato direttamente il governo del Presidente Emmanuel Macron, giudicato "debole", e dipinto una Francia sull'orlo di una "guerra civile" contro "orde islamiste provenienti dalle periferie" e aiutate "dalla sinistra anti-razzista". Gli autori concludevano paventando un colpo di stato per rovesciare il governo e "salvare la Francia e i suoi valori". Non è un caso che la lettera sia stata pubblicata il 21 aprile, nel 60esimo anniversario del Putsch di Algeri, quando nel 1961 un gruppo di generali tentò di rovesciare il Presidente De Gaulle perché contrari alla sua politica di concedere l'indipendenza all'Algeria in quello che era, prima dell'aprile scorso, l'ultimo intervento diretto nei militari francesi contro un governo civile regolarmente eletto.
É evidente quanto gli autori di questa lettera, che ha destato scandalo nel mondo politico e sui media francesi e che è stata seguita da un secondo scritto in questi giorni di tenore simile, abbiano attinto al vocabolario dell'estrema destra. In una nazione dove due terzi dei suoi abitanti si professano cristiani e i musulmani non raggiungono neanche il 10% è ridicolo dipingere questi ultimi come prossimi a conquistare il paese. Tuttavia, questo documento è un sintomo della crescente polarizzazione sociale in corso in Francia ed è solo un primo assaggio di un clima infuocato che sta avvolgendo la Francia via via che questa si approssima alle sue elezioni presidenziali che si terranno tra esattamente un anno.
La degenerazione del dibattito pubblico in Francia è ben incarnata dai due candidati favoriti a sfidarsi al ballottaggio per la Presidenza.
Da un lato c'è Marine Le Pen, 53 anni tra poco, il volto storico dell'estrema destra francese, figlia dell'antisemita tribuno dei neo-fascisti d'Oltralpe Jean-Marie Le Pen. Le Pen, battuta da Macron quattro anni fa, ha intrapreso una campagna per svecchiare e moderare la propria immagine: ha preso le distanze dal padre, il quale in cambio l'ha politicamente ripudiata, ha rinunciato all'uscita dall'Euro e alla reintroduzione della pena di morte, si è espressa a favore dell'aborto e dei matrimoni omosessuali, ha proposto un suo piano di tutela ambientale incentrato sulla tutela delle aree rurali dopo aver per anni criticato l'ambientalismo come "radical chic". Sebbene il suo pesante cognome ne limiti l'appeal la svolta sembra aver pagato: Le Pen è data come la candidata più popolare e per la prima volta l'estrema destra potrebbe vincere il primo turno, anche se i sondaggi la danno ancora perdente al ballottaggio.
Dall'altro lato c'è Emmanuel Macron, 44 anni a dicembre, il giovane tecnocrate catapultato all'Eliseo con la promessa di una grande stagione riformista "né di destra né di sinistra" e salutato come il nuovo volto dell'europeismo continentale. Quattro anni dopo di quelle promesse resta ben poco: con il massiccio taglio delle tasse sui grandi patrimoni e la decurtazione delle pensioni a carico della classe media, l'assenza di una qualsiasi strategia ambientale e la gestione piuttosto raffazzonata prima delle rivolte sociali dei Gilè Gialli e poi della crisi Covid Macron ha offerto poco a quegli elettori di centrosinistra che lo avevano votato. Anzi, si può dire come Macron abbia intrapreso la strategia opposta rispetto alla sua avversaria. Se infatti Le Pen si sta sforzando di apparire moderata, Macron ha abbracciato un lessico e un'agenda legislativa dichiaratamente di destra: per esempio ha varato leggi anti-terrorismo sempre più restrittive, dall'istituzione dello stato di emergenza permanente alla possibilità per il governo di monitorare tutte le attività online dei suoi cittadini senza mandato giudiziario, ha reagito alle polemiche contro le violenze della polizia suscitate dalla pubblicazione di alcuni video proponendo di vietare la possibilità di riprendere la polizia, ha intrapreso azioni aggressive contro la comunità musulmana, chiedendo che i suoi imam siano nominato dallo stato francese, e contro le università, auspicando che queste vengano poste sotto un maggior controllo statale in quanto a suo dire corrotte dalla "sinistra islamista". Durante l'ultimo dibattito il ministro macroniano dell'interno Darmanin ha addirittura accusato Le Pen, lei, la paladina dell'estrema destra, di non essere abbastanza "dura" contro le organizzazioni islamiste. Tutto questo legittima le parole d'ordine della destra e rende meno propensi gli elettori di centrosinistra a rieleggere il Presidente al secondo turno, né per adesso sembrano profilarsi alternative credibili, né a sinistra, dove la figura del tribuno euroscettico e populista Jean-luc Mélenchón si oppone ai Verdi e ai socialisti per la leadership della sinistra francese, né a destra, dove gli orfani di Sarkozy si interrogano se sia meglio cedere a Macron, a Le Pen oppure se farsi tentare da un outsider come il Generale Villiers, considerato vicino ai militari aspiranti golpisti e che starebbe meditando di candidarsi.
Ma, sebbene abbiano grandi responsabilità circa lo stato in cui versa la Francia oggi, questo non si può del tutto imputare ai presenti candidati. Sembra infatti che tutti i nodi della società francese stiano venendo al pettine: un sistema ultra-presidenziale che inevitabilmente porta allo "scollamento" della figura di un quasi onnipotente Presidente dal popolo che lo ha eletto; un sistema di integrazione fondato sull'imposizione di valori comuni (la cosiddetto "dottrina laica repubblicana" del celeberrimo Liberté, Égalitè, Fraternitè) che però poi non trova applicazione pratica, lasciando gli immigrati in ghetti privi di risorse e tagliati fuori dalla società ( e va notato come nazioni che non applicano questo modello, come l'Italia, o lo applicano con le risorse adeguate, come la Germania, non abbiano i problemi delle nazioni che invece lo hanno a lungo praticato, come la Francia ma anche Gran Bretagna e Stati Uniti); un sistema economico che da tempo beneficia i ceti più agiati rispetto agli strati più poveri della popolazione.
Difficilmente qualcuno dei candidati in campo potrà risolvere da solo questi problemi, anzi sembra che nessuno di loro sia disposto a riconoscerne l'esistenza. Finché non arriverà quel momento la Francia continuerà a camminare verso il default sociale e con lei tutta l'Europa.
Sanga da Baskerville
Fonti: per la scrittura del presente articolo si è attinto a numerosi mezzi di informazione internazionali, tra cui Internazionale, The Guardian, Libération, Jacobin.
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