"Che ogni nazione sappia, sia che ci auguri il bene, sia che ci auguri il male, che pagheremo qualsiasi prezzo, sopporteremo qualunque peso, affronteremo ogni difficoltà, aiuteremo qualsiasi amico, affronteremo qualunque nemico pur di assicurare la sopravvivenza e il successo della libertà.[...] Ora la campana ci chiama ancora una volta, non per portare le armi, anche se ne abbiamo bisogno, non per una battaglia, sebbene siamo già in battaglia, ma per portare il peso di una lunga e oscura lotta, anno dopo anno, "rallegrandoci nella speranza, pazienti nella tribolazione".
Queste parole, pronunciate dal Presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy nel suo celebre discorso inaugurale il 20 gennaio 1961, descrivono bene l'atteggiamento americano durante la Guerra Fredda: la volontà di "pagare qualunque prezzo" pur di assicurare il "successo della libertà" in una "lunga e oscura lotta" incarna, con un'abile retorica, il proiettarsi degli Stati Uniti verso la sfida per la supremazia globale con l'Unione Sovietica e lo sforzo richiesto da Washington per perseguire i propri interessi economici e geopolitici.
Ma questo discorso potrebbe descrivere con altrettanta abilità l'attuale postura statunitense nei confronti della crisi ucraina, il che denota quanto la Guerra Fredda abbia plasmato i modelli di comportamento americani e rappresenta uno dei motivi per cui molti commentatori hanno iniziato a parlare di "nuova Guerra Fredda". Il Presidente americano Joe Biden ha infatti parlato apertamente di "sostenere l'Ucraina fino a quando sarà necessario" per assicurare la sua "vittoria", senza peraltro chiarire in cosa consisterebbe una tale vittoria (l'Ucraina che respinge l'invasione russa? Oppure l'Ucraina che riconquista il Donbas e la Crimea? O altro ancora?). L'incertezza sulla strategia occidentale è alimentata, oltre che dalle incoerenti e altalenanti dichiarazioni della leadership ucraina, anche dalle esternazioni dello stesso Biden e dei suoi ministri, per non parlare del premier britannico Boris Johnson, che a tratti parlano apertamente di rovesciare Putin o di distruggere la Russia come superpotenza. Dichiarazioni che peraltro non trovano grande riscontro sul campo, dove i russi continuano la loro avanzata e sono a un passo dall'assicurarsi il completo controllo della regione del Donbas. Il conflitto sembra avviato a diventare un gigantesco braccio di ferro, uno scontro di attrito tra grandi potenze, ma per capire questo concetto è necessario prima analizzare la strategia russa.
Che l'aggressione all'Ucraina sia stata pianificata con ampio anticipo è ormai un fatto assodato, Putin non solo ha mobilitato e preparato tutti gli asset militari necessari a compiere l'invasione ma ha anche preparato l'economia russa e i servizi strategici (mediante, per esempio, la creazione di un Internet nazionale russo) allo scontro con le finanziariamente più forti potenze occidentali. Nelle prime settimane di guerra l'esercito russo ha lanciato un'offensiva verso Kiev che ha fatto inizialmente pensare che la capitale ucraina fosse il reale obiettivo di Mosca. Tuttavia, a conti fatti si intuisce come il numero di forze impiegate in quell'operazione non fosse numericamente sufficiente ad assicurare la conquista di una grande città urbanizzata con oltre due milioni di abitanti come Kiev, lo stesso dicasi per Charchiv. Resta quindi il forte sospetto che la prima fase del conflitto abbia visto il Cremlino giocare la carta di una "maskirovka" ("camuffamento" in russo), cioè di una strategia di "inganno strategico" che nascondesse i suoi veri obiettivi e inducesse l'avversario a compiere una mossa falsa. Al momento dello scoppio della guerra l'esercito ucraino era in buona parte schierato nel Donbas, dove ucraini e separatisti russofoni combattono dal 2014. É plausibile immaginare che i russi abbiano avanzato sulla capitale ucraina nella speranza che gli ucraini richiamassero queste unità per proteggere Kiev, lasciando così scoperto il Donbas, che evidentemente rappresenta il principale obiettivo dell'aggressione russa. Gli ucraini non lo hanno fatto e così, a partire dal secondo mese di guerra, i russi hanno ritirato le loro forze dalla regione di Kiev per concentrarle tutte nel Donbas e ottenere uno sfondamento delle linee ucraine. Anche tutto il dibattito sui russi intenzionati a conquistare Odessa e poi invadere la vicina Moldavia potrebbero essere frutto di un'abile "maskirovka", visto che se l'esercito russo non aveva (o non voleva impiegare) le forze per conquistare Kiev o Charchiv non le ha neppure per Odessa.
Non essendo la Russia riuscita a indurre gli ucraini a ritirarsi, lo scontro nel Donbas si è rapidamente trasformato in una guerra di attrito, capace di bruciare grandi quantità di uomini e mezzi e molto brutale nelle distruzioni degli abitati civili. L'Ucraina può contare sui massicci rifornimenti di armi da parte occidentale ma in ultima analisi sono i soldati che iniziano a scarseggiare, un fatto inevitabile quando una nazione di 44 milioni di abitanti ne affronta una di 144 milioni. Nonostante il ricorso a misure emergenziali per trovare nuova "carne di cannone", compreso il ricorso ai criminali liberati in cambio dell'arruolamento e le accuse di uso di bambini soldato, l'Ucraina fatica a rimpiazzare le perdite, in particolare dei soldati professionisti esperti, che non possono essere sostituiti dal primo coscritto che passa. Così, nonostante i media e gli esperti occidentali si sforzino di corroborare le dichiarazioni ucraine circa "colossali perdite" russe che starebbero dissanguando l'esercito di Mosca, l'evoluzione della situazione sul campo sembra descrivere una situazione in cui l'Ucraina è sempre più costretta a ripiegare per evitare la distruzione di preziose unità militari: prima rinunciando a cercare di rompere l'assedio di Mariupol, celebrato dalla propaganda di Kiev ma lasciata sostanzialmente sola, poi con il rapido ritiro prima da Severodonetsk e poi da Lysychansk, presto con la perdita completa anche dalla regione di Donetsk.
Che lo scontro tra Ucraina (e, per esteso, blocco occidentale) e Russia stia diventando uno scontro di attrito sembra essere stato compreso perfettamente dai russi. Anzi, in qualche modo questa condizione sembra essere stata ricercata, una piega sorprendente se pensiamo che nelle prime settimane di guerra si immaginava che il tempo fosse un alleato dell'Ucraina secondo l'assunto che più Kiev resisteva più la Russia si dissanguava. Ma lo stesso Putin, in un importante discorso tenutosi recentemente a San Pietroburgo, ha abbracciato la prospettiva di uno scontro di attrito con l'alleanza occidentale affermando:
"Si stanno dando la zappa sui piedi, perché la loro crisi economica, che non è stata certo causata dalla nostra Operazione militare speciale, farà nascere all’interno dei loro Paesi elementi radicali e di degrado che nel prossimo futuro porteranno a un cambio delle élite. L’Unione europea ha perso la propria sovranità, e sta danneggiando la sua stessa popolazione, ignorando i propri interessi. Le nostre azioni nel Donbass non c’entrano niente, l’inflazione e il calo delle materie prime sono il risultato dei loro errori di sistema. Ma loro usano il Donbass come una scusa che gli permette di attribuire a noi tutti gli errori fatti in questi anni".
Insomma, la prospettiva è chiara: il conflitto metterà a dura prova le parti coinvolte ma la Russia, grazie a un'economia meno interconnessa e precedentemente preparata, a mezzi di produzione saldamente in mani nazionali e a un autoritarismo politico che farà da deterrente alla instabilità interna, ne uscirà vincitrice, dice Putin, laddove invece le società occidentali stremate da anni di turbolenze economiche e tormentate da propri demoni interni cederanno non appena il caro vita avrà fatto deflagrare la crisi sociale che sta riducendo alla fame la popolazione. Questa visione è perfettamente coerente con il modo russo di vedere la crisi ucraina: non un controversia regionale tra due nazioni confinanti, bensì uno scontro per procura tra due grandi potenze, Russia e Stati Uniti, di portata globale e motivato dalla volontà di questi ultimi di assorbire Kiev nella NATO. Come tale, Mosca regola di conseguenza i suoi obiettivi e punta a una vittoria per ritiro piuttosto che per KO. L'idea di vincere senza ottenere una chiara vittoria sul campo non è affatto estranea alla mentalità russa, anzi: proprio la Russia in passato è stata sconfitta, nel 1917 e nel 1991, attraverso questo metodo, prima con la Rivoluzione Russa che l'ha costretta a negoziare l'uscita dalla Prima Guerra Mondiale e poi con la dissoluzione di un'URSS incapace di stare al passo con la sfida statunitense. Vincere per ritiro sarebbe già una grandissima vittoria per la Russia, che sulla carta gioca in una posizione decisamente meno favorevole rispetto al blocco occidentale sul piano economico (basti pensare che Mosca ha un PIL inferiore a quello italiano) e che alcune difficoltà riscontrate durante l'aggressione all'Ucraina hanno dimostrato che anche militarmente il Cremlino non sia più quello di una volta.
La conclusione sembra quindi prospettare una corsa contro il tempo in cui entrambi i corridori sembrano certi di essere in vantaggio: mentre i leader occidentali sono convinti che la Russia si stia dissanguando a morte in Ucraina e che dunque prolungare il conflitto il più possibile inviando armi a Kiev sia nel loro interesse, i russi a loro volta credono che chi si stia dissanguando qui sia l'Occidente e per difendere un paese che strategicamente non ha alcuna importanza per la sicurezza occidentale, per giunta. Nonostante le affermazioni di Putin (e dei suoi colleghi occidentali) non possano essere prese senza un legittimo sospetto di propaganda, è però indubbio che i prezzi galoppanti dell'energia e del settore alimentare, uniti ai danni, soprattutto al settore agricolo, legati alla crisi climatica e alle conseguenze della pandemia, stiano spingendo i paesi occidentali verso un pericoloso punto di rottura sociale. Gli annunci di Macron sul fatto che l'Europa debba prepararsi a una "economia di guerra" sembra prospettare un futuro vicino fatto di razionamenti e privazioni. Il fatto che la Germania stia apertamente considerando il razionamento del gas e dell'acqua calda per far fronte alla crisi energetica sembra andare in questa direzione, così come la dichiarazione dello stato di emergenza in Italia a causa della dilagante siccità.
In questo scenario la prospettiva di aumentare vertiginosamente le spese militari come richiesto dalla NATO secondo i desiderata di Washington, così come quella di pagare la ricostruzione dell'Ucraina secondo un piano che, stando al Presidente ucraino Zelenskij, costerà almeno 750 miliardi di dollari (per capirci, l'intero ammontare del Recovery Fund stanziato per ricostruire le economie di tutti i paesi dell'Unione Europea a seguito del Covid), appare in rotta di collisione con le legittime richieste sociali di una popolazione occidentale sempre più impoverita sotto i colpi della pandemia, delle speculazioni internazionali e di un sistema capitalista in crescente crisi. Quando la Russia parla di "fallimenti di sistema" allude proprio a questo, fiduciosa che l'impianto pro-capitalista dei sistemi politici occidentali impedirà ai loro governi di adottare le necessarie misure per stabilizzare le proprie economie a scapito delle speculazioni private (per esempio, imponendo alle compagnie energetiche un prezzo massimo per la benzina e il gas o tassando i loro extra-profitti ottenuti dalla speculazione energetica per fermare l'esplosione dei costi delle bollette). Se i paesi occidentali non saranno in grado di comprenderlo e non prenderanno contro-misure radicali, ammettendo che la recessione in vista non è stata causata dalla crisi ucraina (l'inflazione e il caro bollette erano già ai massimi a fine 2021) ma da un sistema economico fallimentare, allora forse sì,"elementi radicali" emergeranno dal degrado sociale e rovesceranno le élite occidentali.
Per fare cosa solo il tempo potrà dircelo.
Sanga da Baskerville
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