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Rousseff e l'asse Brasilia-Pechino alla guida dei BRICS

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Aggiornamento: 5 mag 2023

L’ex Presidente del Brasile Dilma Rousseff è stata nominata nuova presidente della Nuova Banca per lo Sviluppo, l’istituzione finanziaria del Gruppo BRICS, l’alleanza che riunisce le maggiori economie emergenti (la cui sigla ricalca le iniziali dei paesi membri: Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica).

I paesi BRICS rappresentano complessivamente oltre il 40% della popolazione terrestre e circa un terzo del PIL mondiale.

La sua nomina segnala un rafforzamento dell’impronta politica della Banca. Fino ad oggi infatti, la guida dell’istituto era stata affidata a manager del settore e tecnocratici finanziari, competenti ma di basso profilo. La scelta di un nome pesante come quello di un ex Presidente di uno dei paesi leader del gruppo, nonché pupilla dell’attuale capo di stato brasiliano Lula da Silva (che nel 2010 la scelse come suo successore alla presidenza), dimostra la volontà di dare alla NBS un ruolo di maggior spessore. Senza dubbio la credibilità della Rousseff, che durante il suo mandato presidenziale è stata tra i fautori della creazione della Banca nel 2015, darà all’istituto una posizione più solida per trattare con i paesi del Sud del Mondo, verso i quali la NBS ha da tempo inaugurato una politica di espansione: oltre ai paesi citati infatti, si sono associati alla Banca, pur non essendo membri dei BRICS, il Bangladesh, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e l’Uruguay e altri coltivano l’ambizione di imitarli. Il rafforzamento dell’istituto, che ha sede a Shanghai, si inserisce nel disegno cinese di gettare le fondamenta di un ordine internazionale indipendente dall’egemonia statunitense, una visione condivisa dai paesi BRICS. La NBS lo dimostra fin dalla sua fondazione: mentre le istituzioni finanziarie di ideazione occidentale, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, prevedono che i paesi membri possano votare solo in base al proprio peso finanziario (i voti non valgono uguale, ma “pesano” diversamente a seconda della ricchezza), il che ne assicura il completo controllo alle più ricche economie occidentali (al punto che dalla loro nascita, in base a un tacito accordo, l’FMI ha sempre avuto un cittadino europeo alla sua guida e la Banca Mondiale uno statunitense), la NBS si basa sul principio egalitario del “Un paese, un voto”, lo stesso dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il confronto tra i due sistemi è stato esplicito anche nel discorso che Lula, volato a Pechino per l’occasione, ha tenuto al momento dell’insediamento della sua pupilla.

Il Presidente Lula, 77 anni e al suo terzo mandato, si da tempo ritagliato un profilo come leader non ufficiale del Sud del Mondo

«Non è possibile soffocare le economie come stanno facendo ora con l’Argentina l’FMI» ha dichiarato il leader brasiliano, riferendosi alle opprimenti condizioni di austerità che il Fondo Monetario ha imposto a Buenos Aires in cambio dei suoi prestiti «Nessun governante può lavorare con un coltello alla gola perché è indebitato. […] Quando l’FMI o qualsiasi altra banca presta a un paese del Terzo Mondo, le persone si sentono in diritto di comandare per amministrare il conto del paese. Come se i paesi diventassero ostaggi di chi prestava denaro». Un metodo che Lula ha chiaramente contrapposto con la strategia adottata dalla Nuova Banca dello Sviluppo che invece: «Lascia che presti denaro per aiutare i paesi e non soffocare i paesi in via di sviluppo. La Banca dei Brics rappresenta molto per chi sogna un mondo nuovo, per chi è consapevole della necessità di sviluppo e che, quindi, ha bisogno di soldi per fare investimenti». Il Presidente brasiliano ha concluso affermando che la NBS aiuterà i paesi membri ad affrancarsi dal dominio del Dollaro americano, attualmente la moneta più in uso per le transazioni internazionali, tema ripreso dalla stessa Roussef nel suo discorso di insediamento, quando ha presentato la NBS come «la banca del Sud del Mondo».

La scelta della Rousseff segna quindi un nuovo stadio della costruzione di un ordine internazionale “con caratteristiche cinesi” ma è indicativo che Pechino affidi questo passaggio a un altro attore come il Brasile, preferendo rimanere un passo indietro per consolidare la sua immagine di superpotenza dedita al multipolarismo e presentare la transizione come una volontà collettiva e non unicamente cinese.

Commercio, autonomia politica, diplomazia,... il nuovo assetto diplomatico proposto da Pechino fa proseliti.

Ma questa nomina rappresenta anche un grande successo diplomatico per il Brasile. Il più grande paese latinoamericano sembra tornato a pieno titolo sul palcoscenico internazionale dopo la parentesi Bolsonaro, come dimostra la raffica di visite di stato di alto profilo accordate a Lula nelle ultime settimane, in Cina ma anche negli Stati Uniti, negli Emirati Arabi Uniti e in Europa. Il Presidente brasiliano è stato anche invitato a partecipare al G7 previsto a fine maggio in Giappone. E tutto questo nonostante (o forse proprio grazie a) il fatto che il Brasile abbia mantenuto una posizione equidistante nel conflitto russo-ucraino, sulla quale Lula, sfruttando l’aurea da statista che lo accompagna, sta cercando di costruire un’ipotesi di mediazione. Una neutralità venata però dalla costruzione di solidi legami con Pechino, come testimonia la vicenda della nomina della Rousseff, tanto da spingere l’ISPI a coniare la definizione di “paese non-allineato a trazione cinese” per descrivere la posizione brasiliana. Brasilia mantiene comunque una sua autonomia in politica estera - tanto da non aver sentito il bisogno di aderire alla Nuova Via della Seta promossa da Pechino come invece ha fatto la vicina Argentina - ma indubbiamente il paese latinoamericano dimostra una spiccata preferenza per la visione multipolare promossa dalla Cina e dal formato BRICS rispetto a qualunque assetto unipolare o bipolare che lasci al vertice del sistema internazionale un club molto ristretto di superpotenze.


Federico Olmo Sangalli

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