Una nuova guerra fredda: un affare conveniente?
- logosgiornale
- 5 lug 2021
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Quando lo scorso 11-13 giugno i leader del G7 (i sette paesi più industrializzati del Primo Mondo, ndr) si sono riuniti a St Ives, sulle spiagge della Cornovaglia, l'evento è stato celebrato quasi all'unanimità dai media occidentali. Si teneva a sottolineare il ritrovato feeling con gli Stati Uniti del nuovo Presidente Joe Biden dopo quattro anni di relazioni tumultuose, per usare un eufemismo, con il suo predecessore Trump, e niente ha incarnato meglio questo ritorno del figliol prodigo dello slogan di Biden: "America's back!", "L'America è tornata!".

Tuttavia, le celebrazione e la narrazione stessa del summit ha quasi immediatamente preso la direzione di sottolineare la compattezza del "blocco occidentale" contro un nuovo nemico comune, identificato soprattutto con la Cina e, in maniera minore, anche con la Russia.
Molti giornali, siti d'informazione, analisti, osservatori e persino esponenti politici hanno parlato di una "nuova guerra fredda" da lanciare per la libertà e la democrazia contro i cattivi autocrati orientali. Nello stesso periodo le relazioni tra Pechino e Washington, che sembravano poter andare incontro a una distensione dopo l'uscita di scena del cacofonico Trump, sono rimaste molto tese: la nuova amministrazione americana e i media ad essa collegati, in una bizzarra giravolta rispetto alle loro dichiarazioni in campagna elettorale, hanno iniziato a ventilare l'ipotesi che la Cina possa avere responsabilità nelle origini dell'epidemia di Covid-19, ipotesi invece esclusa con forza quando ad affermarlo era Trump e i suoi accoliti; allo stesso tempo i dazi commerciali non sono diminuiti anzi sono stati estesi a nuovi settori strategici, provocando un'impennata nei prezzi dei semi-conduttori e dei microchip e, a cascata, di auto ed elettrodomestici in tutto il mondo; infine numerosi paesi occidentali hanno varato risoluzioni accusando Pechino di "genocidio" nei confronti della minoranza uigura nonostante le prove finora disponibili non sembrano supportare questa ipotesi quanto più quella di una più generica (ma non meno crudele) repressione non finalizzata comunque allo sterminio della popolazione.
Da parte sua la Cina, non intenzionata certo a mostrarsi debole nel bel mezzo delle celebrazioni per il centenario della nascita del Partito Comunista cinese (invero ormai solo l'ombra di sé stesso, avendo abbracciato il capitalismo oligarchico più sfrenato), ha risposto in maniera aggressiva con dichiarazioni infuocate in cui, in sostanza, si accusa l'Occidente di essere una manciata di paesi arroganti che, rinchiusi nei loro vecchi e ricchi club esclusivi come il G7, danno lezioni agli altri piegando le regole a loro piacimento per accusare certi paesi di certi crimini (come la Cina appunto) e altri no (come l'alleato Israele).
É evidente come ci sia anche un gioco delle parti dove le dichiarazioni hanno una valenza di facciata a volte più alto del loro valore concreto. Proviamo allora a fissare alcuni punti fermi e innegabili del rapporto tra Cina e "blocco occidentale".

Primo, i due soggetti in questione sono così legati fra loro a livello economico che una scissione netta è praticamente impossibile. Quasi il 90% delle Terre Rare, un insieme di minerali fondamentali per produrre i microchip che fanno funzionare i nostri computer e i nostri sistemi elettronici, sono estratte in Cina. Paralizzare il commercio con quest'ultima sarebbe un buon modo per tornare all'età della pietra o a un'epoca dove macchine e tostapane costavano così tanto da essere un bene di lusso. D'altro canto la Cine è il primo importatore energetico al mondo, acquistando massicci carichi di petrolio dal Medio Oriente, carichi che passano attraverso una serie di rotte marittime fortemente sorvegliate dalla Marina statunitense. Entrare in collisione con Washington vorrebbe quindi dire tornare a usare le biciclette come principale mezzo di trasporto per molto tempo. Infine la Cina è tra i primi acquirenti di titoli di stato americani, il che ne fa una delle principali detentrici del debito pubblico USA: comprando questi titoli la Cina paga grandi somme di denaro agli Stati Uniti, dandogli modo così di mantenere in piedi un'economia che compra moltissime merci (il commercio sino-americano è cresciuto persino sotto Trump!) dal mercato cinese, sostenendo così a sua volta l'economia di Pechino. Al netto delle grandi manovre e delle dichiarazioni strombazzate ai quattro venti, forse volte a convincere l'opinione pubblica della necessità di nuovi grandi investimenti nel campo degli armamenti, appare evidente come i due paesi abbiano più da perdere che da guadagnare da un'eventuale scontro.
Secondo, la Cina non è una nazione particolarmente aggressiva, almeno storicamente. Tende naturalmente a preoccuparsi del suo "cortile di casa", cioè delle zone immediatamente vicine alle sue coste, ma poco altro. Escludendo occasionali scontri di confine, la Cina non ha mai combattuto una guerra dalla fine della Guerra di Corea, più di sessant'anni fa. La quasi contemporanea invasione del Tibet non è considerata un'invasione da parte cinese in quanto il Tibet aveva dichiarato la secessione dalla Cina pochi anni prima, approfittando della guerra civile tra comunisti e nazionalisti, e pertanto i cinesi considerano l'occupazione come una "riunificazione nazionale". Da allora la Cina non si è mai impegnata in un conflitto con chicchessia per più di mezzo secolo, cosa che non si può dire di nessuna altra potenza, né degli USA, né della Russia, né delle nazioni europee.
Terzo, la Cina non ha le capacità militari per minacciare l'Occidente, o meglio, le possiede ma sono di molto inferiori alle capacità dell'Occidente di minacciare la Cina stessa. Ha certo un esercito molto numeroso ma si tratta di un numero ridotto se rapportato alla sua immensa popolazione. L'aviazione cinese ha poco più della metà degli aerei degli Stati Uniti. La Marina cinese possiede una sola portaerei, gli USA ne hanno undici e altre quattro in costruzione. Gli Stati Uniti possiedono circa 5 500 testate nucleari, la Cina 350, cioè circa il 6% degli ordigni americani. La Marina statunitense possiede 14 sottomarini lanciamissili nucleari più due in costruzione, la sua corrispettiva cinese ne possiede sei. In altre parole, gli investimenti in campo militari denotano sì come Pechino si consideri una potenza a tutti gli effetti ma non sembrano andare nella direzione di voler affermare un qualche tipo di dominio globale. In particolare le mancano completamente i mezzi per intervenire in aree del Mondo lontane dalle sue coste.

In conclusione, la Cina non sembra costituire una minaccia diretta all'Occidente. Se gli appelli alla guerra fredda potevano essere comprensibili quando i sovietici incombevano nel cuore dell'Europa con i loro carri armati e il loro sistema dittatoriale, lo stesso appello non sembra possa avere molto senso nei confronti di una nazione posta dall'altra parte del Mondo e con la quale non abbiamo alcuna disputa territoriale. I tentativi di rafforzare le ostilità con Pechino posso essere quindi letti come un tentativo di "rimanere al comando" della comunità internazionale da parte degli Stati Uniti, oltre che come un tentativo di compattare un'opinione pubblica interna profondamente divisa e polarizzata.
Gli USA infatti sono in declino da quasi vent'anni, non tanto militarmente ed economicamente, quanto nel loro status di grande potenza leader. Una reputazione fortemente compromessa dagli errori di questo ventennio ha infatti fortemente pregiudicato la sua capacità di mantenersi popolare anche solo tra gli alleati storici. Dopo aver mentito spudoratamente al mondo nel 2003 affermando come l'Iraq avesse armi di distruzione di massa per invaderlo e mettere le mani sui suoi giacimenti petroliferi, dopo anni di guerre impopolari, recessioni economiche causate dagli speculatori di Wall Street, scandali di spionaggio, abusi commerciali da parte di multinazionali statunitensi e sostegni ipocriti ad autocrati sanguinari, gli ultimi quattro anni di caos, guerre commerciali, insulti e tradimenti da parte dell'amministrazione Trump hanno rappresentato il colpo di grazia a un'immagine già gravemente incrinata degli Stati Uniti nel mondo. Non è tanto quindi la Cina che conquista influenza nelle organizzazioni internazionali e sui mercati mondiali quando gli USA che declinano.

La Cina non è una nazione democratica ma non è neppure una dittatura ideologica: se hanno ottenuto così tanto successo, soprattutto economico, è proprio perché hanno accoppiato il liberismo capitalista (lo stato non paga i servizi ai suoi cittadini e favorisce la nascita di grandi corporation) con l'oligarchia politica (niente libertà né diritti per i milioni di lavoratori che permettono di mantenere quei bassi prezzi che sono il successo delle suddette corporation). In altre parole, la Cina è forse il paese dove il capitalismo è stato abbracciato a tal punto da essere diventato tutt'uno con lo stato stesso. Allo stesso modo la Cina si dichiara orgogliosamente capitalista e all'estero difende e promuove lo sviluppo del libero mercato. I timori contro Pechino si concentrano infatti in particolar modo attorno ai suoi grandi piani di investimento in altri paesi, come il progetto Via della Seta, critiche che fanno sempre risentire i cinesi che considerano tali iniziative alla pari con analoghi piani di investimento capitalisti del passato come per esempio il Piano Marshall post-bellico e che giudicano ipocriti i paesi che a parole li condannano ma nei fatti intrattengono con loro grandi scambi commerciali (come i già citati USA ma anche la Germania, che ha uno scambio con la Cina superiore a duecento miliardi di dollari).
Insomma, se la Cina vince lo fa perché gioca a delle regole (quelle del sistema capitalista) che l'Occidente stesso ha contribuito a creare. Aizzare venti di guerra fredda non solo servirebbe solo a ingrassare i grandi produttori di armi con spese che in questo periodo di ripresa post-pandemico semplicemente non possiamo permetterci ma metterebbero in grave rischio la stabilità delle stesse nazioni partecipanti, casomai si decidesse di iniziare una guerra del debito o una guerra energetica. Se l'attuale sistema economico favorisce la Cina e l'obiettivo è contrastare l'influenza cinese il miglior modo per farlo non è costruire un cannone inutilizzabile senza i microchip prodotti dalla stessa Cina bensì cambiare il sistema economico alla base del suo successo, ovverosia il capitalismo stesso. Le nostre élite farebbero meglio ad attrezzarsi in tal senso e a favorire la transizione verso un nuovo sistema economico più equo e meno instabile invece di fare delle foto opportunity accompagnate da dichiarazioni ipocrite e presuntuose echeggianti pericolosamente un periodo buio, quello in cui la stabilità richiesta dalla Guerra Fredda venne imposta con le bombe e gli assassinii, della nostra storia. Sarebbe meglio per tutti.
Sanga da Baskerville
Fonti: per il seguente articolo si è ricorso a numerose fonti, tra le quali Internazionale, The Guardian, Wikipedia, Jacobin e il libro "L'Asia al centro" di Franco Mazzei e Vittorio Volpi, edito dalla Bocconi, Milano, 2006.





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