Nelle ultime settimane la crisi ucraina ha dominato i titoli dei principali media, rilanciata passo per passo da dichiarazioni sempre più allarmistiche da osservatori internazionali e leader politici di varie nazionalità. Qualcuno, come l'ex Presidente americano Donald Trump, ha persino ventilato la possibilità che la crisi sfoci in una Terza Guerra Mondiale. Ma a una più attenta analisi la crisi appare se non ridimensionata fortemente rivista in una nuova ottica.
Parlando alla stampa il 28 gennaio, il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha accusato l'Occidente di causare il "panico". "La probabilità di un attacco" ha dichiarato il leader di Kiev "esiste, non è scomparsa e non è stata meno grave nel 2021", ma "non vediamo un'escalation maggiore di quella" dello scorso anno. Al contrario, ascoltando i media internazionali e "anche rispettati capi di stato", si ha l'impressione "che ci sia già una guerra, che ci siano truppe che avanzano nelle strade. Ma non è così", ha concluso Zelenskyy prima di ribadire che la priorità dell'Ucraina resta "stabilizzare l'economia". La settimana successiva l'ex Ministro della Difesa Andriy Zagorodnyuk, intervistato dal quotidiano britannico Guardian, ha affermato che le truppe mobilitate dalla Russia sono sufficienti per occupare una città ma non per lanciare un'aggressione ad ampio raggio dell'Ucraina.
La dichiarazione del capo di stato ucraino ha suscitato una certa sorpresa: ma come, ci si è detti, l'Ucraina non era la nazione aggredita che chiamava aiuto contro l'orso moscovita? Perché ora si mostra quasi infastidita, se non preoccupata, dell'interessamento internazionale prima invocato?
L'oscillante atteggiamento del leader ucraino può essere ricondotto a motivi di ordine interno: a tre anni dalla sua elezione a Presidente sull'onda di una ventata populista che ha trasformato questo giovane ex comico in un paladino dell'anti-corruzione Zelenskyy ha prodotto ben poco per l'ucraino medio. La questione dei confini con la Russia, che si trascina dal 2014, rappresenta plasticamente questa debolezza: nonostante l'abbia più volte attaccata in campagna elettorale, Zelenskyy non è mai riuscito ad andare oltre l'intesa raggiunta con gli Accordi di Minsk dal suo predecessore, l'oligarca e attuale capo dell'opposizione Petro Poroshenko. Ottenere l'assistenza delle istituzioni politiche e finanziarie occidentali è così fondamentale per risollevare la debole economia ucraina ma il paese in questione non ha molto da offrire come garanzie politiche e infrastrutturali a eventuali investitori. Allora, ecco che presentarsi come la prossima vittima dell'imperialismo russo e come una sorta di trincea irrinunciabile dell'Occidente può essere una buona strategia per indurre quest'ultimo ad aprire il portafogli, non per ragioni economiche ma per motivi geopolitici. L'altro lato della medaglia però è che una minaccia di guerra troppo incombente spaventi gli investitori e faccia crollare la fiducia nelle istituzioni ucraine. Da cui l'improvvisa frenata di queste ultime settimane rispetto alla possibilità di un'aggressione russa.
Non a caso il discorso di Zelenskyy arrivava dopo la dichiarazione del Presidente USA Biden che affermava di ritenere probabile un'invasione russa " a febbraio". A proposito di oscillazioni incoerenti, si potrebbe scrivere un libro solo sulla figura di Biden come singolo individuo: durante questa crisi infatti è passato dal parlare del conflitto come di una cosa imminente a far intendere che una "piccola incursione" russa in Ucraina sarebbe stata quasi accettabile rispetto a un'invasione su larga scala (affermazione per la quale è stato selvaggiamente criticato in patria, come si può immaginare).
La sua dichiarazione su un possibile conflitto nel mese di febbraio appare ancora più insensata se consideriamo che in questi giorni il Presidente russo Vladimir Putin è stato in visita di stato in Cina per l'apertura delle Olimpiadi invernali di Pechino: non solo scatenare una guerra col proprio capo di stato all'estero va contro ogni buon senso ma è cosa nota che Pechino, che è il primo finanziatore della Federazione Russa, non gradirebbe lo scoppio di un conflitto durante le celebrazioni olimpiche, grande vetrina della prosperità e della centralità internazionale nonché motivo di orgoglio nazionale della Repubblica Popolare.
Tornando invece alla posizione occidentale, il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha riassunto chiaramente la posizione occidentale sulla crisi in corso: l'Ucraina non fa parte dell'Alleanza Atlantica dunque non c'è alcun obbligo di difenderla in caso di aggressione. Di conseguenza anche se la Russia invadesse il suo vicino l'Occidente non gli dichiarerebbe guerra ma imporrebbe soltanto delle sanzioni economiche più forti.
Quindi, ricapitolando: l'Ucraina pensa che la crisi si sia spinta troppo in là, la Russia afferma che la sua mobilitazione ha scopi "difensivi" nei confronti di una possibile adesione dell'Ucraina alla NATO e le cancellerie occidentali ci tengono a sottolineare che i loro paesi non entreranno comunque in guerra. Messa così, viene da chiedersi come mai allora la situazione venga presentata come una guerra pronta a esplodere.
Ci sono due ordini di ragioni, economico e di prestigio. Come già detto, il Cremlino afferma di voler mobilitare le proprie forze in vista di una futura adesione dell'Ucraina all'Alleanza Atlantica che, di fatto, accerchierebbe Mosca almeno quanto il dispiegamento dei missili a Cuba nel 1962 fece sentire accerchiati gli Stati Uniti. Tuttavia, l'ammissione dell'Ucraina nella NATO non solo non è vicina ma non è neppure in programma. Mentre la precedente crisi nel 2014 aveva delle cause scatenanti ben chiare (la decisione del Presidente filo-russo Yanukovych di non sottoscrivere un importante accordo commerciale con l'Unione Europea che provocò la rivoluzione, la presa del potere da parte dei rivoluzionari nazionalisti anti-russi a Kiev che spinse la popolazione russofona a insorgere con l'aiuto di Mosca) oggi è difficile individuare il "detonatore" della presente situazione di crisi. Ma a ben guardare questo può essere trovato con le lenti dell'opportunità: con le difficoltà economiche che montano ovunque nel mondo a causa dei prezzi dell'energia schizzati alle stella, la Russia, principale fornitrice di gas all'Europa, deve aver pensato che fosse il momento adatto per esercitare pressioni sull'Occidente, magari causando una divisione tra un'Europa dipendente dal gas russo e un'America che invece è da tempo indipendente da un punto di vista energetico. La crisi ucraina ha infatti contribuito ad alzare i prezzi energetici, travolgendo il Vecchio Continente con il caro-bollette e mettendo in affanno la sua economia anemica dopo due anni di blocco dovuto al Covid.
Più la crisi dura più Putin può vendere gas ad alto prezzo, guadagnando miliardi da investire nelle proprie forze armate. L'Occidente farebbe bene a capirlo e a lavorare fin da subito per chiudere la crisi nel suo interesse.
Questa è la ragione economica. La motivazione legata al prestigio è più sfumata ma può essere ricavata da un dato: il cambio di priorità militari negli Stati Uniti. Secondo il Mitchell Institute for Aerospaces Studies infatti, tra il 2004 e il 2013 il Governo degli Stati Uniti ha destinato il 34% delle proprie spese militari all'esercito, contro il 26% della marina (che negli USA include anche il Corpo dei Marines). Eppure dal 2013 a oggi la proporzione si è gradualmente invertita: l'anno scorso gli Stati Uniti hanno attribuito solo il 32% del proprio budget militare alle truppe di terra, mentre ben il 52% è andato alla marina e all'aviazione. Il cambio di passo presume un riorientamento da una visione incentrata su una guerra combattuta sulla terra a una combattuta soprattutto sull'acqua o in aria. Il nemico varia di conseguenza: non certo la Russia, con la quale il campo di battaglia sarebbe l'Europa, un solido blocco di terre emerse, bensì la Cina, con la quale invece la competizione per il controllo dell'Oceano Pacifico è sempre più forte. Lo ha del resto confermato lo stesso Segretario della Difesa statunitense Lloyd Austin presentando l'ultimo stanziamento militare al Congresso. In altre parole, mentre tutti pensano a una guerra tra Russia e Stati Uniti questi ultimi ritengono che il vero nemico sia la Cina, in ossequio a un riallineamento strategico (il "Pivot to Asia") lanciato a suo tempo da Obama e rafforzatosi sotto Trump.
Geopoliticamente allora la contesa sull'Ucraina assume le caratteristiche di una disputa di prestigio. La Russia e gli Stati Uniti sono le due superpotenze in declino: la prima lo è fin dal collasso dell'impero sovietico, l'affanno politico, economico e militare dei secondi è sotto gli occhi di tutti. Un po' come due vecchi pugili che hanno fatto la storia con la loro rivalità (la Guerra Fredda) ma che sono ormai avviati sul viale del tramonto, un nuovo match tra i due permette di rievocare l'atmosfera di allora e fregiarsi della propria gloria passata, quando entrambi potevano vantare il controllo su una buona metà del globo. Ma il fatto stesso che la crisi riguardi il fatto che la Russia non riesce a controllare le azioni di una nazione a lei confinante svela l'intrinseca debolezza della sua pretesa di superpotenza, così come le crescenti difficoltà americane nell'esercitare la propria influenza (dall'America Latina all'umiliante ritiro afghano) dimostrano quella statunitense.
Oggi entrambe le potenze sono indipendenti energeticamente, una crisi non mette seriamente a rischio la propria ripresa economica, ed entrambe le loro leadership hanno bisogno di consenso: Putin, la cui presunta approvazione plebiscitaria tra i russi è stata appannata dai cattivi risultati alle elezioni parlamentari dell'autunno scorso, può così ricordare al suo popolo che se la Russia è una nazione potente e rispettata e non una delle molte nazioni fallite dell'ex blocco sovietico è solo merito suo; un Joe Biden mai così impopolare a causa della crisi economica e la paralisi politica interna può invece così provare a riscattare la sua immagine di Presidente debole venuta a crearsi dopo la caduta di Kabul.
Sullo sfondo restano la Cina, il giovane aspirante titolare dei pesi massimi, che, ben contenta della distrazione causata dalla crisi ucraina, aspetta che venga il suo momento, e i contribuenti europei, a cui toccherà invece pagare le bollette di questo insensato gioco di potenza.
Sanga da Baskerville
Per l'elaborazione del presente articolo si è ricorsi a varie fonti nazionali e internazionali tra cui: Guardian, ANSA, Internazionale, Geopolitica.info.
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