In occasione delle grandi celebrazioni per il centenario di fondazione del Partito Comunista il Presidente cinese Xi Jinping ha ribadito come Pechino consideri Taiwan come proprio territorio in quanto "provincia ribelle". La dichiarazione, piuttosto di rito data l'occasione, ha dato vita a un botta e risposta con il Ministro degli Esteri giapponese che si è detto disposto, nonostante la Costituzione nipponica obblighi il paese al pacifismo, a difendere Taiwan in caso di aggressione cinese. Se questo scambio può essere ricondotto a dissidi storici tra i due grandi paesi asiatici risalenti almeno alla Seconda Guerra Mondiale, dalle isole contese ai crimini di guerra commessi dai giapponesi e di cui Tokyo nega l'esistenza, la disputa tra Cina e Taiwan è meno antica ma non per questo meno complicata: perché la Cina considera Taiwan una "provincia ribelle"?
All'inizio del Novecento la Cina era nel caos: al culmine del cosiddetto "Secolo delle Umiliazioni", una serie di sconfitte e occupazioni subite per mano delle potenze coloniali occidentali e del Giappone, la millenaria monarchia imperiale cinese era stata rovesciata e dichiarata decaduta ma questo avvenimento era stato seguito da una lunga fase di instabilità e di lotte tra signori della guerra contrapposti. Due movimenti rivoluzionari erano emersi dalle ceneri della Cina imperiale, il Partito Comunista e il Partito Nazionalista, o Kuomintang. Inizialmente alleati contro i signori della guerra, comunisti e nazionalisti divennero presto rivali per il potere, soprattutto dopo la morte del fondatore del Kuomintang Sun Yat-sen e l'ascesa alla guida dei nazionalisti del Generalissimo reazionario Chiang Kai-shek. Sotto la sua guida i nazionalisti annientarono la maggior parte dei signori della guerra quindi tradirono i comunisti e li costrinsero a un terribile ritirata (la famosa Lunga Marcia) ma nel 1936 tutto questo dovette essere messo da parte a causa dell'invasione giapponese della Cina. Su pressione degli Alleati i comunisti, ora guidati da Mao Tse-tsung, e i nazionalisti formarono una riluttante alleanza per fare fronte comune contro gli invasori. Dopo la resa del Giappone nel 1945 però le ostilità tra comunisti e nazionalisti ripresero e divennero uno dei primi banchi di prova della Guerra Fredda: gli americani sostennero infatti il Generalissimo Chiang mentre i sovietici rifornirono Mao. Ma i nazionalisti, profondamente corrotti e principalmente basati in città, aveva perso il sostegno della classe contadina cinese ai cui occhi invece i comunisti, in prima linea nei comitati di difesa dei villaggi e nella lotta partigiana, erano stati i veri liberatori del paese: insomma i nazionalisti avevano perso anche il nazionalismo come argomentazione e, al culmine di una cruenta guerra civile, nel 1949 furono sconfitti.
Ma la faccenda non si chiuse qua: mentre a Pechino Mao proclamava la nascita dell'odierna Repubblica Popolare Cinese (o RPC) Chiang e i suoi sostenitori fuggirono sull'isola di Formosa (in cinese Taiwan), portandosi dietro i resti dell'esercito nazionalista e numerosi tesori artistici cinesi. L'evacuazione a Taiwan doveva essere solo temporanea nel senso che Chiang rimase convinto fin quasi alla sua morte nel 1975 di poter un giorno o l'altro riconquistare il paese ma le circostanze finirono per renderla definitiva: la RPC si consolidò presto sulla terraferma e minacciò di varcare a sua volta lo stretto e occupare l'isola, costringendo Chiang a negoziare un'alleanza con gli Stati Uniti che congelò la situazione nell'ambito della Guerra Fredda. Ma il punto centrale è che Chiang continuò a rivendicare di essere il legittimo governo cinese sotto il nome di Repubblica della Cina Nazionale (RCN), pur governando solo una piccolissima parte del territorio cinese. I governi occidentali lo riconobbero in funzione anti-comunista e per quasi trent'anni Taiwan godette della legittimità di essere considerato l'autentico governo cinese, compreso il seggio all'ONU e il diritto di veto. Lo statuto delle Nazioni Unite permette l'ammissione di nazioni che rivendicano di essere espressione dello stesso paese (per esempio Germania Ovest e Germania Est o le due Coree) ma poiché RPC e RCN negano ambedue l'esistenza legittima dell'altro solo una delle due poteva essere ammessa come rappresentante della "vera Cina". Alla fine, nel 1971, una serie di circostanze diplomatiche (in particolare la volontà di usare la RPC contro l'Unione Sovietica ma anche le pressioni dei paesi del Terzo Mondo) spinse gli Stati Uniti a compiere una piccola rivoluzione diplomatica, inaugurata con un famoso viaggio di Nixon a Pechino: gli USA riconobbero la Cina Popolare e appoggiarono una mozione alle Nazioni Unite che revocò il seggio alla Cina Nazionale per assegnarlo, com'è oggi, al governo di Pechino. Taiwan da allora vive in una sorta di limbo: è l'unico stato sovrano a non essere riconosciuto come tale, non fa parte dell'ONU o di altre organizzazioni internazionali e il suo stesso status è incerto. Di fatto è uno stato ma per le ragioni di cui sopra non è trattato come tale. Sempre più isolato, Taiwan conobbe una lenta transizione democratica guidata prima dal figlio di Chiang Kai-shek e poi dal primo Presidente democratico taiwanese Lee Teng-hui. Particolare interessante, a seguito di questa transizione il Kuomintang, cioè il nemico storico del Partito Comunista cinese, è diventato il "partito delle colombe" favorevole a migliorare le relazioni con la Cina Popolare. Questo perché il Kuomintang non ha mai rinunciato al principio di "Una sola Cina" e dunque auspica ancora, un giorno, una riunificazione con la madrepatria. Nel tempo si è così fatto portavoce di relazioni più cordiali con Pechino e di una futura soluzione basata sul principio "Un Paese, Due Sistemi" per preservare l'autonomia politica di Taiwan anche dopo un'eventuale riunificazione sul modello di Hong Kong, anche se questa corrente sembra essere definitivamente tramontata dopo la brutale repressione compiuta dalle autorità cinesi nella suddetta città. Al contrario gli attivisti pro-democrazia che si battevano contro la dittatura nazionalista contestavano il "mito fondativo" del regime di Chiang, cioè appunto il principio di "Una sola Cina", sostenendo al contrario una strada più autonomista ispirata alla cultura locale non-cinese. Questi attivisti si sono poi incarnati nel Partito Democratico Progressista dell'attuale Presidente Tsai Ing-wen, sono più contrari al governo autoritario cinese e sono più aperti a che Taiwan abbandoni la sua pretesa di essere la "vera Cina" e si proclami un paese indipendente.
Tutto risolto allora? Neanche per idea. Quando la transizione democratica sembrò portare gli autonomisti al potere negli Anni Novanta la Cina non la prese bene: con la Crisi di Taiwan del 1996 Pechino effettuò test missilistici ai confini delle acque taiwanesi a scopo intimidatorio, sostenendo che fossero perfettamente legali visto che Taiwan era una sua provincia e comunque non era uno stato e dunque non poteva rivendicare delle acque territoriali. La mossa non fu intelligente poiché l'indignazione popolare consegnò una vittoria storica agli autonomisti e da allora la Cina ha rinunciato a interferire, almeno così apertamente, con la politica taiwanese. Tuttavia, Pechino ha messo in chiaro di considerare ancora l'isola una sua provincia e ha approvato un articolo della Costituzione che prevede una dichiarazione automatica di guerra in caso di "secessione". Già, perché Taiwan, considerandosi ancora la "vera Cina", non ha mai proclamato la propria indipendenza quindi con l'attuale status quo i cinesi considerano l'isola una "provincia ribelle", cioè un territorio cinese ma che non segue gli ordini di Pechino, una situazione che, obtorto collo, la Cina è disposta ad accettare. Ben diverso però sarebbe se Taiwan rinunciasse al suo essere cinese e dichiarasse l'indipendenza perché allora non sarebbe più una "ribellione" bensì un vera e propria "secessione", cioè una separazione ufficiale dalla madrepatria. A sua volta l'alleanza militare tra Taiwan e gli Stati Uniti, ancora in vigore, prevede sì l'intervento automatico americano in caso di aggressione all'isola asiatica ma prevede anche una clausola per cui l'alleanza decade automaticamente se le ostilità sono state causate da un "atto unilaterale" di Taiwan: pensata in un periodo in cui si temeva che Chiang potesse tentare la riconquista della terraferma e trascinare il mondo nella Terza Guerra Mondiale, oggi la clausola si applica anche alla possibilità di una dichiarazione d'indipendenza non negoziata da parte di Taiwan, in quanto questa sarebbe un'evidente provocazione inaccettabile nei confronti della Cina.
Si arriva così ai giorni nostri: Pechino non vuole e non può rinunciare a Taiwan come proprio territorio ma allo stesso tempo non vuole fare la guerra per esso; gli Stati Uniti vogliono mantenere Taiwan come base per poter minacciare le coste cinese (cosa per cui i cinesi la tacciano di ipocrisia, ricordando la reazione americana alla Crisi di Cuba) ma non vogliono farsi trascinare in un conflitto solo per sostenerne l'indipendenza; infine i taiwanesi si sono ormai abituati a essere definiti tali e non più "cinesi" e sostengono in maggioranza e con forza crescente l'ipotesi indipendentista (un sondaggio di inizio 2020 vede il 54% dei taiwanesi favorevoli a questa ipotesi) ma allo stesso tempo non pensano che riconoscere de jure la loro indipendenza de facto valga la guerra che ne seguirebbe.
E così, in attesa che i popoli "chiudano tutti i politici su un'isola deserta", per parafrasare Paolo VI, e si riconcilino, lo stallo "alla taiwanese" continua.
Sanga da Baskerville
Nota sulle fonti: per il presente articolo si è fatto uso di varie fonti internazionali, tra cui Internazionale, Taiwan News, The Guardian, oltre che di testi storici di uso scolastico.
Comentários