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Svolta in Israele?

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Dopo settimane di tensioni e forti polemiche a livello internazionale a causa delle recente esplosione di violenze nella regione palestinese, Israele potrebbe essere sulla soglia di una svolta politica storica.

Nella sera di ieri, appena un'ora prima dello scadere del mandato esplorativo affidatogli dal Presidente della Repubblica Reuben Rivlin, Yair Lapid, il capo ufficioso dell'opposizione israeliana al Primo Ministro uscente Benjamin "Bibi" Netanyahu, ha riferito di avere i voti sufficienti nel parlamento israeliano (chiamato Knesset) per formare un nuovo governo. A seguito di ciò Rivlin ha concesso una settimana aggiuntiva per presentare la squadra di governo e ottenere la fiducia parlamentare necessaria per entrare in carica.

I protagonisti della svolta politica israeliana: da sinistra, Naftali Bennet, Yair Lapid e Benjamin Netanyahu.

La nascita del nuovo esecutivo rappresenterebbe una svolta perché non solo porrebbe fine al regno incontrastato di Netanyahu, in carica da dodici anni, ma farebbe anche uscire Israele dalla crisi politica in cui è precipitato, una crisi causata dall'incapacità dei partiti israeliani di formare una maggioranza parlamentare senza coinvolgere i partiti arabo-israeliani e che ha già causato quattro elezioni anticipate in due anni. Coinvolto in pesanti accuse di corruzione e abuso di potere che hanno già portato alla condanna di sua moglie, Netanyahu si è finora fatto scudo dell'immunità che una lacuna nella legge concede al Primo Ministro per ostacolare i suoi processi, adottando una crescente retorica "trumpiana" con cui ha aizzato i suoi sostenitori contro la Knesset e i tribunali.Questa svolta reazionaria nella retorica e nelle politiche del Primo Ministro più longevo d'Israele ha polarizzato fortemente l'arco politico dello Stato ebraico, spingendo una parte della destra stessa a rompere i legami con lui e a cercare invece un accordo con l'opposizione di centro e centrosinistra. Per compensare Netanyahu ha ri-legalizzato una serie di gruppi estremisti di matrice kahanista (una sorta di suprematismo ebraico di stampo neo-fascista che prende il nome dal rabbino Meir Kahane, espulso dalla Knesset negli Anni Ottanta perché considerato una "minaccia per la democrazia"), alcuni dei quali in passato resisi responsabili di attacchi terroristici contro cittadini di origine araba, che alle ultime elezioni sono riusciti a entrare in parlamento. Tuttavia, l'ironia della sorte ha voluto che neanche questo bastasse ad assicurare una maggioranza stabile, anzi: durante le consultazioni Netanyahu ha effettuato un voltafaccia radicale e ha cercato i voti degli arabo-israeliani pur di avere una maggioranza che evitasse la sua rimozione dal potere ma il tentativo è fallito proprio a causa del veto dei suoi nuovi alleati di estrema destra e anzi ha reso legittimo a livello politico trattare con gli arabi-israeliani, finora un tabù per i politici ebrei.

L'eterogenea coalizione che ora si appresta a rimuovere "Re Bibi", come è conosciuto in Israele, dal suo "trono" è composta da partiti di centro, come quello di Lapid, di centro-sinistra, come il vecchio Partito Laburista, da gruppi pacifisti, dagli arabo-israeliani e da gruppi dichiaratamente di destra formati dai nazionalisti religiosi anti-Netanyahu. Proprio per far digerire a questi l'accordo con gli arabi il patto di coalizione prevede che il leader nazionalista Naftali Bennet diventi il nuovo Primo Ministro per i primi due anni della legislatura, seguito per gli ultimi due da Lapid. L'ex segretario laburista Isaac Herzog invece è stato scelto come il nuovo Presidente della Repubblica.

Il nuovo capo del governo in pectore Bennet è un fanatico nazionalista di stampo religioso, ex colono (cioè abitante degli "insediamenti", le colonie ebraiche create illegalmente anche secondo la legge israeliana dei territori abitati dai palestinesi in Cisgiordania), un "falco" anti-palestinese e anti-iraniano. Per molti versi può essere considerato anche più a destra di Netanyahu.

Tuttavia, il fatto che la sua coalizione sia composta perlopiù da partiti moderati e col sostegno decisivo degli arabo-israeliani (per la prima volta dal Governo Rabin di quasi trent'anni fa) dovrebbe limitare le pulsioni più nazionaliste del nuovo leader israeliano, sebbene non ci si possa aspettare altresì particolari concessioni sul piano del processo di pace del conflitto israelo-palestinese.

Forze dell'ordine israeliane sulla Spianata delle Moschee durante gli scontri tra e con l'estrema destra ebraica e i palestinesi

Proprio quest'ultimo aveva tenuto il mondo col fiato sospeso dopo l'escalation dello scontro tra il governo israeliano e l'organizzazione militante palestinese Hamas: dopo l'espulsione di decine di famiglie palestinesi da Gerusalemme Est e il raid sulla Spianata delle Moschee durante un venerdì di Ramadan da parte del primo, la seconda ha risposto lanciando centinaia di razzi contro Israele, che li ha neutralizzati in gran parte grazie ai suoi efficienti sistemi anti-missile e ha risposto bombardando pesantemente Gaza, sede di Hamas. Il bilancio del conflitto (una dozzina di morti da parte israeliana contro quasi duecentocinquanta vittime da parte palestinese), nonché atti controversi come la decisione di bombardare la sede dei giornalisti stranieri a Gaza, ha suscitato polemiche a livello internazionale, nonostante la quasi unanime (e controversa) presa di posizione delle nazioni occidentali a favore di Israele. I combattimenti militari sono stati accompagnati per la prima volta da violenti scontri etnici nelle città miste: milizie kahaniste hanno attaccato i quartieri arabi mentre folle inferocite di arabi-israeliani hanno risposto linciando diversi passanti ebrei. Nello stesso Stato ebraico molti commentatori e analisti hanno accusato Netanyahu di aver provocato deliberatamente le violenze con una serie di sempre più gravi provocazioni allo scopo di suscitare l'ostilità tra i nazionalisti delle due parti e impedire così ai suoi oppositori politic di formare un'alleanza contro di lui, in pratica per costringere Bennet a rinnegare l'accordo con gli arabi-israeliani. Ma nonostante per un momento sembrava fosse destinata ad andare così alla fine pare siano riusciti a mettere da parte le loro notevoli differenze per riportare un minimo di pace in quella tormentata regione.

L'uscita di scena di Netanyahu arriva in un momento di ripensamento del rapporto con Israele da parte di molti paesi

Lasciando il potere Netanyahu lascia a Israele un'eredità che peserà molto sul suo futuro: una politica polarizzata e una destra arrabbiata e ormai apertamente dotata di pericolose milizie di fanatici; una grave spaccatura sociale interna alla società israeliana tra gli ultra-ortodossi, quasi un quarto della popolazione, che pretendono di non pagare tasse, avere privilegi e non fare il servizio militare obbligatorio, e i laici che invece devono sobbarcarsi i costi della guerra oltre ai combattimenti in prima linea; la legittimazione di gruppi opposti, dei neo-fascisti israeliani ma anche e soprattutto della comunità arabo-israeliana, che d'ora in poi non accetterà di più di essere marginalizzata ed esclusa come è stato finora; una controversa alleanza con regimi noti per essere sanguinari e fanatici religiosi islamici, come l'Arabia Saudita; forse più di tutto, l'essersi identificato così tanto con la Presidenza Trump da aver reso l'alleanza con Israele una questione di partito e non più una tacita intesa bipartisan, con un numero crescente di democratici e di americani che si chiedono che senso abbia continuare a spendere tanti soldi per mantenere in piedi una leadership apertamente segregazionista, una posizione condivisa da numerose organizzazioni internazionali che hanno aperto inchieste su possibili crimini di guerra commessi durante il conflitto e da paesi come la Francia, che hanno definito le politiche israeliane come tendenti "all'apartheid".

Consci che ogni bomba lanciata è solo un modo per perpetuare i Netanyahu e gli Hamas di questo mondo in un cinico gioco al massacro perpetuo, non possiamo che augurarci che questa svolta rappresenti un piccolo ma pur sempre importante passo avanti verso un futuro di pace per tutti gli abitanti della regione.


Nota informativa: gli arabi-israeliani non sono palestinesi. Con "palestinesi" si intendono gli abitanti delle zone sottoposte all'Autorità Nazionale Palestinese, l'entità autonoma che rappresenta a livello internazionale il popolo palestinese: i "palestinesi" non hanno la cittadinanza israeliana, vivono a Gaza e in Cisgiordania e auspicano uno stato palestinese libero. Gli "arabi-israeliani" sono invece i discendenti di quegli arabi/palestinesi che hanno riconosciuto lo stato d'Israele o ne hanno acquisito la cittadinanza: essi sono cittadini israeliani, pagano le tasse e votano in Israele e rappresentano circa un quinto della popolazione di Israele. Sebbene siano stati a lungo ignorati ed esclusi dalla vita pubblica in quanto sarebbero stati una nota stonata per chi intende presentare Israele come uno stato solo ebraico, essi non vogliono uno stato palestinese bensì considerano Israele come la loro patria.


Sanga da Baskerville


Fonti: per il presente articolo si sono consultati numerosi mezzi di informazione internazionali, tra cui Internazionale, Times of Israel, Haaretz, The Time, The Guardian.

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