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Russia e Ucraina, le radici di una crisi

Nelle ultime settimane le tensioni sono cresciute esponenzialmente lungo il fronte del Donbass, la regione dell'Ucraina orientale in mano ai separatisti russofoni sostenuti dalla Federazione Russa e al centro di un conflitto a bassa intensità da ormai quasi sette anni. A una serie di scontri di frontiera, con morti e feriti e accuse reciproche da ambo le parti, si sono aggiunte le provocazioni diplomatiche, come l'arresto di un console ucraino accusato di spionaggio in Russia, e soprattutto le massicce mobilitazioni militari di entrambi i paesi. Mentre sia Mosca e sia Kiev accusano l'altra di voler un conflitto che non vuole nessuno, sorge spontanea una domanda: se questo conflitto di fatto è in corso senza grandi sviluppi dal 2014, perché questa improvvisa escalation?

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La situazione in Ucraina, con evidenziati la Crimea annessa dalla Russia e il Donbass in mano ai separatisti

Per capirlo dobbiamo prima di tutto spiegare cosa le due nazioni significano l'una per l'altra.

Per secoli l'Ucraina ha fatto parte dell'Impero Russo e in seguito dell'Unione Sovietica e per molti russi è naturale vederla come il loro "cortile di casa". Negli anni cinquanta le due regioni erano considerate così legate che il leader sovietico Nikita Chruscev (ucraino a capo di un Unione Sovietica a maggioranza russa) attuò una correzione confinaria per assegnare alcune province russofone, come la Crimea, all'Ucraina, che le ereditò dopo la dissoluzione dell'URSS dando inizio alla presente contesa. L'idea che l'Ucraina sia "un affare russo" è dunque fortemente radicata nella visione dei leader di Mosca.

Per gli ucraini al contrario la convivenza con i russi è una storia di oppressioni, prima zarista, poi comunista, culminata nell'Holodomor (letteralmente, "uccidere per fame"), una carestia organizzata, voluta da Stalin per ridurre in ginocchio una minoranza troppo numerosa come quella ucraina, e che uccise milioni di civili ucraini negli anni trenta. Dunque per l'Ucraina - una nazione giovane, nata appena trent'anni fa - ogni intromissione russa provoca ostilità e risentimento.

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Per molti ucraini gli eventi del 2014 sono stati una riscossa nazionale dopo secoli di vassallaggio verso la Russia.

Dopo l'indipendenza l'Ucraina aveva concesso autonomie linguistiche ai russofoni per tenerli buoni in un momento in cui il neonato paese slavo era ancora fragile. La situazione però si è ben presto deteriorata. Nel 2004 le elezioni videro contrapporsi il filo-occidentale Viktor Yushchenko e il filo-russo Viktor Yanukovych: Yushchenko fu avvelenato ma sopravvisse, Yanukovych vinse le elezioni tra forti sospetti di brogli e le proteste popolari (Rivoluzione Arancione) portarono alla ripetizione del voto e alla vittoria di Yushchenko. Tuttavia, i filo-occidentali non riuscirono a cambiare la profonda corruzione che permea la politica ucraina e presto si divisero al loro interno. Questo permise a Yanukovych di vincere le elezioni del 2010. Il suo governo fortemente filo-russo però divenne rapidamente impopolare tra gli ucraini non russofoni e quando Yanukovych annunciò che l'Ucraina si sarebbe ritirata dall'accordo di associazione con l'Unione Europea, un accordo che era visto come propedeutico a un futuro ingresso dell'Ucraina nell'Unione e quindi come mezzo per porre fine alle minacce di Mosca, le proteste popolari esplosero. Il successivo bagno di sangue ordinato da Yanukovych in breve trasformò le proteste in una rivoluzione (Rivoluzione di Maidan, dal nome della piazza centrale di Kiev, o Rivoluzione della Dignità, per sottolinearne l'accezione "patriottica" e anti-russa): il parlamento ucraino votò all'unanimità la deposizione di Yanukovych, che rifiutò di dimettersi e fuggì in Russia. Un nuovo governo provvisorio composto per lo più da nazionalisti anti-russi venne insediato in attesa di nuove elezioni ma i russofoni lo interpretarono come un minaccia nei loro confronti e presero le armi: la Crimea, posizionata in modo strategico sopra il Mar Nero e sede della marina russa in questo mare, dichiarò la secessione e aderì alla Russia mentre le province dell'Ucraina orientale (Donbass) si ersero ad autoproclamati stati indipendenti col sostegno russo. Militarmente l'Ucraina non poteva reggere un confronto diretto con Mosca quindi il conflitto fu combattuto per interposta persona, tra le milizie nazionaliste ucraine e quelle russofone. I punto più basso si toccò nel luglio 2014, quando un aereo di linea civile della Malaysian Airline venne abbattuto sopra il Donbass uccidendo quasi trecento persone, un disastro di cui sono stati accusati i russofoni ma che rimane ad oggi senza colpevole. Per risolvere la situazione l'Unione Europea e gli USA a guida Obama fecero pressioni che sfociarono negli Accordi di Mink del 2015, che di fatto congelarono la guerra allo status quo. Da allora la situazione è rimasta stabile fino al rinfocolarsi delle tensioni in questi giorni.

Questo ci riporta alla domanda iniziale: cosa c'è dietro questo ritorno alle ostilità muscolari?

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Da sinistra, il Presidente russo Vladimir Putin (68 anni), e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelenskij (43 anni)

Beh in primis sembrerebbero esserci ragioni di politica interna. Il Presidente ucraino Zelenskij, un giovane comico eletto con la promessa di estirpare la corruzione e trovare una soluzione al conflitto, per ora non è riuscito a far passare le riforme previste e spera di recuperare popolarità con un ritorno alla tradizionale linea anti-russa. Allo stesso tempo pensa che nuove tensioni con la Russia serviranno a fare pressioni sull'Occidente per velocizzare l'adesione di Kiev alla NATO e all'Unione Europea, nonostante nessuna delle due organizzazioni sembri così desiderosa di accoglierla. Allo stesso tempo la Russia putiniana ha urgenza di organizzare grandi manovre militari e puntare il dito contro il nemico occidentale per distrarre dai problemi interni in vista delle elezioni parlamentari previste per questo autunno. Sebbene l'esito sia scontato i gravi problemi economici, che hanno recentemente costretto Mosca ad avviare trattative per vendere il proprio debito pubblico alla Cina e accettare così in prospettiva di diventare un junior partner di Pechino, simbolo perfetto del progressivo declino della potenza russa iniziato alla fine del secolo scorso, rischiano di causare un calo visibile e imbarazzante al partito del Presidente Vladimir Putin, già incalzato dal Caso Navalny, dalle proteste contro l'alleato Lukashenko in Bielorussia e dal ritorno di una leadership poco accomodante in America come quella di Joe Biden. Anche il desiderio di "testare" il nuovo Presidente USA davanti a una crisi internazionale spinge infatti la Russia a rilanciare il confronto con l'Ucraina. Mentre i due governi mostrano i muscoli e spremono la macchina della propaganda (la Russia non intende invadere l'Ucraina, non ora che una buona campagna marketing poco supportata dai fatti gli sta permettendo di ricostruirsi un'immagine grazie al vaccino Sputnik V, checché ne dicano a Kiev; l'Ucraina non intende sterminare i russofoni come millantano i russi, non quando la maggioranza degli ucraini si esprime ancora meglio in russo che in ucraino, compreso il Presidente Zelenskij, simbolo di quanto sia giovane la nazione in questione), resta la preoccupazione per le vittime di questo insensato tiro alla fune tra militaristi di opposti schieramenti. Mentre infatti le contrapposte mobilitazioni continuano sembrano risuonare le parole di T.S. Elliot: “Questo è il modo con cui finisce l’impero/ non con un’esplosione ma con un piagnucolio”. Resta da vedere cosa sceglieranno i contendenti dell’Est...


Sanga da Baskerville


Fonti: per la stesura del presente articolo si sono consultati numerosi mezzi di informazione internazionale tra cui The Guardian, Internazionale, Washington Post, Foreign Politics, Reuters, ANSA.

 
 
 

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