Quando, il 6 gennaio scorso, il Campidoglio degli Stati Uniti, sede del Congresso, è stato preso d'assalto e gettato nel caos, una delle considerazioni più diffuse sulla surrealtà di quelle immagini fu che sembravano uscite da un film di Hollywood. Esiste infatti un fortunato e ricco filone cinematografico in cui gli americani distruggono o devastano i propri edifici simbolo, sia per mano di attacchi alieni (Mars Attack!, Independence Day), di nemici terrestri (Olympus Has Fallen, White House Down) o di catastrofi naturali (2012). Pochi sanno però che la Casa Bianca, residenza del Presidente degli Stati Uniti, venne in effetti attaccata e bruciata fin alle fondamenta in un attacco nemico.
Correva l'anno 1814 e gli Stati Uniti erano impegnati nella cosiddetta Guerra del 1812 o Guerra Anglo-Americana. Impegnata nella difficile sfida contro la Francia napoleonica, la Gran Bretagna aveva imposto restrizioni al commercio atlantico per colpire i traffici da e per i porti francesi. Gli americani tuttavia non si ritenevano vincolati da tali restrizioni: tra il 1807 e il 1812 si susseguirono numerosi incidenti navali causati dai tentativi della Royal Navy britannica di perquisire le navi mercantili statunitensi e le tensioni aumentarono finché Washington ruppe ogni relazione con Londra. Convinti di poter approfittare del fatto che gran parte dell'esercito inglese si trovava impegnato contro Napoleone, i leader americani optarono infine per aprire un conflitto che, nella loro ottica, gli avrebbe permesso di reclamare le colonie inglesi che non si erano unite a loro durante la Guerra d'Indipendenza, cioè il Canada.
La guerra iniziò così nel giugno del 1812 ma fu presto chiaro che non sarebbe stata né così facile né così breve come gli americani avevano immaginato. In primis i canadesi non li accolsero come liberatori, anzi: gli anglofoni erano discendenti dei lealisti che avevano combattuto per la Corona contro i ribelli americani anni prima e si dimostrarono subito ostili, mentre i francofoni del Quebec non vedevano alcuna convenienza nel passare da provincia di una nazione anglofona ad un' altra e rimasero in gran parte in disparte. Gli inglesi poi poterono contare sull'alleanza con i nativi americani guidati da capo indiano Tecumseh, a cui venne promessa una confederazione nativa nella regione dei Grandi Laghi. Da ultimo la Marina inglese era decisamente superiore alla controparte USA e, dopo la vittoria di Trafalgar nel 1805, era libera di concentrarsi contro i porti statunitensi. L'invasione americana del Canada riuscì quindi solo a incendiare l'odierna Toronto prima di essere attaccata alle spalle e costretta a una ritirata disordinata. Nei mesi successivi gli inglesi passarono al contrattacco, conquistando diversi fortini di frontiera e invadendo il Maine. L'apogeo si toccò però il 24 agosto 1814 quando una flotta inglese entrò nella Baia di Chesapeake e risalì il fiume Potomac, che attraversa ancora oggi Washington DC, sbarcando la bellezza di 4 500 soldati inglesi armati di tutto punto guidati dall'Ammiraglio George Cockburn e dal Generale Robert Ross nel cuore della capitale americana. Seguirono ore di caos, durante le quali il Presidente James Madison e vari ministri del governo furono costretti ad abbandonare la capitale in fretta e furia per evitare la cattura da parte delle Giubbe Rosse: il Presidente assunse anche brevemente il comando di una batteria di artiglieria per coprire la ritirata. La First Lady Dolly Madison fuggì portandosi dietro quadri, vasi, soprammobili e numerosi altri pezzi di arredamento che non voleva cadessero in mano britannica. Dopo aver occupato facilmente la città, gli inglesi si diedero al saccheggio, al vandalismo e alla distruzione degli edifici pubblici: la Casa Bianca e il Campidoglio furono incendiati e distrutti e con essi molti altri edifici della città. Washington DC, inaugurata come capitale meno di vent'anni prima, era avvolta dalle fiamme.
Quattro giorni dopo l'attacco una violenta tempesta, completa di tornado, si abbatté sulla città, spegnendo gli incendi e convincendo gli inglesi a reimbarcarsi sulle loro navi. Solo il 1 settembre Madison e il Congresso poterono rientrare in una città in ginocchio. Il sacco della loro capitale, unito all'abdicazione di Napoleone in Europa, spinse gli americani ad aprire delle trattative di pace: il Trattato di Ghent, firmato nella città belga il 24 dicembre 1814, pose formalmente fine al conflitto. Gli inglesi, che avevano sempre considerato il teatro nordamericano come secondario rispetto a quello europeo, accettarono un ritorno allo status quo senza conquiste territoriali, abbandonando così i loro alleati nativi, già sconfitti a Tippecanoe dal Generale William Henry Harrison, al loro destino. Tuttavia, le comunicazioni da un continente all'altro erano all'epoca lente e difficoltose, così, prima che la notizia della pace potesse giungere in America, gli statunitensi ottennero la loro agognata vittoria quando il Generale Andrew Jackson, alla testa di un esercito di reparti regolari, volontari trappers, indiani Choctaw e persino pirati francesi, sconfisse un esercito inglese nella Battaglia di New Orleans, l'8 gennaio 1815, più di due settimane dopo la fine della guerra. In un conflitto altrimenti piuttosto umiliante per la giovane potenza USA gli autori delle poche vittorie americane furono acclamati come eroi nazionali e ebbero una fulgida carriera: sia Jackson sia Harrison infatti furono in seguito eletti Presidenti, il primo tra il 1829 e il 1837, il secondo nel 1841. La Casa Bianca venne ricostruita nel 1817 mentre il Campidoglio fu completato solo nel 1826 e, con qualche modifica, sono ancora gli edifici che vediamo oggi come simboli della democrazia USA.
Ad oggi la Guerra del 1812 rimane l'ultima volta in cui un nemico esterno ha invaso gli Stati Uniti continentali, così come James Madison rimane il primo e finora unico Presidente ad aver guidato delle truppe in combattimento.
Sanga da Baskerville
Per approfondimenti, M. Bruni, La guerra dimenticata: il conflitto nordamericano del 1812, pubblicazione indipendente, 2020.
Comments