La storia dell'uomo che ispirò Caccia a Ottobre Rosso
- logosgiornale
- 31 dic 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 2 gen 2021
Molti conoscono Caccia a Ottobre Rosso, il celebre romanzo di spionaggio dello scrittore americano Tom Clancy, da cui è stato anche tratto un celebre film del 1990 con lo stesso nome, con protagonisti Sean Connery e Alec Baldwin. Ma pochi sanno che dietro questo capolavoro di narrativa si cela una storia vera.

Valery Mikhailovich Sablin, nato a Leningrado il 1° gennaio 1939, è il protagonista di questo affascinante spaccato della Guerra Fredda. Fin da giovane la sua carriera fu in Marina, prima come cadetto dell'Accademia Navale Frunze di Leningrado, poi imbarcato sulla Flotta Sovietica Settentrionale. E fin da giovane Sablin manifestò un'indiscutibile acume e una mente indipendente che lo portarono presto a mettere in discussione i suoi superiori. Sablin non era un dissidente, almeno, non nella concezione tradizionale del termine: egli non si opponeva al Comunismo, al contrario riteneva che il vero comunismo fosse stato tradito dopo la Rivoluzione d'Ottobre quando i Soviet erano stati marginalizzati in favore di una burocrazia autocratica e di una polizia segreta politica repressiva che avevano sancito l'ascesa di Stalin alla guida dell'Unione Sovietica al posto dell'ormai malato Lenin. E riteneva altresì che, anche se dopo la morte di Stalin i suoi crimini erano stati denunciati pubblicamente dalla nuova leadership riformista sovietica guidata da Nikita Chruscev, la classe dirigente sovietica non avesse più rinunciato al potere così accumulato. Sablin non aveva paura di esprimere il suo pensiero: nel 1962, ad appena 23 anni, scrisse una lettera a Chruscev stesso per esortarlo a "rimuovere tutti i sicofanti e i corrotti dal Partito". Il nuovo corso era più tollerante con le critiche di quanto non fosse sotto Stalin e, con la scusa dell'irruenza giovanile, venne solo "rimproverato" per aver criticato i leader del Partito. Poco dopo Chruscev stesso venne sostituito da Leonid Breznev, sotto il quale l'Unione Sovietica ritornò ad una politica di chiusura, di censura e di stagnazione economica e politica. Paradossalmente il suo fervore ideologico permise a Sablin di laurearsi a pieni voti presso l'Accademia Politico-Militare dell'Armata Rossa e di essere nominato commissario politico, cioè, ironicamente, l'ufficiale che nelle unità militari sovietiche si assicurava che tutti gli ufficiali e i soldati fossero ideologicamente allineati con la linea del Partito. Venne assegnato quindi alla fregata Storozhevoy ("Guardiano"), in servizio nel Mar Baltico. Tuttavia Sablin era sempre più a disagio con la decadenza dell'era Breznev e iniziò a coltivare sogni rivoluzionari. Fu ispirato in particolare dalla vicenda dell'Aurora, un incrociatore zarista che nel 1917 si ammutinò e guidò l'assalto al Palazzo d'Inverno durante la Rivoluzione d'Ottobre. Anche il celeberrimo ammutinamento della corazzata Potemkin durante la fallita Rivoluzione del 1905 e la Rivolta dei Marinai di Kronstadt nel 1917 giocarono un ruolo nell'ispirare Sablin all'agire. Così l'8 novembre 1975, in occasione del 68esimo anniversario della Rivoluzione, mentre la Storozhevoy si trovava nel porto di Riga, nell'attuale Lettonia, Sablin informò il Capitano Anatoly Putorny che alcuni uomini dell'equipaggio stavano bevendo in servizio. Quando Putorny si recò nella cabina indicata per controllare, Sablin lo chiuse dentro, quindi radunò gli ufficiali e, mentre proiettava il film La Corazzata Potemkin sullo sfondo, spiegò il suo audace piano: i burocrati di partito e i loro tirapiedi del KGB avevano tradito la Rivoluzione, perciò spettava a loro cercare di salvarla. La Storozhevoy sarebbe dovuta salpare da Riga, aggirare l'Estonia, entrare nel Golfo di Finlandia e comparire proprio davanti a Leningrado, laddove quasi settant'anni prima l'Aurora aveva dato il via alla Rivoluzione d'Ottobre: lì, da quella posizione estremamente simbolica, in occasione dell'anniversario della Rivoluzione, avrebbero lanciato un appello ai loro concittadini sovietici e ai propri compagni delle forze armate, denunciando la corruzione di Breznev e dei suoi lacchè e invitando ad una nuova rivoluzione. Sablin era convinto che i soldati semplici, giovani cresciuti nel mito della Rivoluzione come lui e disgustati dal carrierismo dilagante, si sarebbero uniti a lui nel rovesciare i corrotti.

Metà degli ufficiali si unirono agli ammutinati, l'altra metà invece rifiutò e fu rinchiusa assieme al comandante. I marinai invece si unirono all'unanimità alla causa di Sablin, tranne per un guardiamarina che riuscì a fuggire e a dare l'allarme. Sablin diede quindi l'ordine di uscire dal porto prima che le autorità potessero fermarlo, ma prima spedì una lettera alla moglie per spiegarle il suo gesto come motivato dall'amore che provava per lei e il suo giovane figlio. Appena fuori dal porto Sablin ordinò di trasmettere l'appello che aveva registrato, nel caso in cui non fossero riusciti a raggiungere Leningrado ma l'operatore radio non osò trasmetterlo su un canale aperto e lo trasmise, a insaputa del giovane rivoluzionario, sul canale riservato agli ufficiali militari, cosa che permise alle autorità sovietiche di bloccarne la diffusione. Il comandante in capo della Marina sovietica ordinò a Sablin di fermarsi ma questi rifiutò. A questo puntò il Segretario Generale Breznev venne svegliato a Mosca e informato che nella notte tra l'8 e il 9 novembre la Marina sovietica aveva "perso" una fregata. Il Politburo fu riunito d'urgenza: cosa voleva fare Sablin? Fare un proclama rivoluzionario? Attaccare l'Unione Sovietica? Defezionare in Occidente, magari attraverso la neutrale Svezia? Quest'ultima possibilità era tutt'altro che improbabile, visto che nel 1961 un sottomarino, guidato da un capitano lituano, un certo Jonas Plauskus, aveva defezionato proprio in tal modo. Fu quindi ordinato alla Flotta del Baltico di salpare immediatamente in forze e di fermare la Storozhevoy, con la forza se necessario, prima che umiliasse pubblicamente il governo sovietico. Tredici navi da guerra e numerosi stormi di bombardieri si gettarono all'inseguimento. Infine, alle prime luci dell'alba del 9 novembre, grazie all'impulso del radar che Sablin dovette lasciar accesso per orientarsi nella notte, la fregata ribelle venne avvistata dai suoi inseguitori. La flotta sovietica segnalò ai ribelli di arrendersi in cambio di un dubbio perdono ma questi rifiutarono. A questo punto entrò in scena l'aviazione: una prima schiera di bombardieri si avvicinò ma esitarono nell'attaccare dei compatrioti e si allontanarono. Poi una seconda squadra, incalzata dagli ordini del comando, sganciò le sue bombe molto vicino alla nave, in un attacco di precisione che mise fuori uso il timone. Ritenendo la cattura ormai prossima, alcuni marinai andarono nel panico e liberarono il capitano Putorny, il quale occupò di sorpresa la plancia e arrestò Sablin dopo avergli sparato ad una gamba. Ormai era finita.
La nave venne abbordata e trainata nuovamente in porto. Tutto l'equipaggio, compresi quelli contrari all'ammutinamento, vennero interrogati per giorni. Gli ammutinati furono condannati a varie pene detentive. Sablin fu accusato di aver tentato di tradire la Patria defezionando in Occidente ma quando emersero le sue vere motivazioni il KGB e i vertici del Partito capirono di dover mettere tutto sotto silenzio, prima che quei pensieri eretici potessero diffondersi: a soli 38 anni, Sablin venne condannato a morte e giustiziato e il suo corpo fu sepolto in una tomba sconosciuta, senza che la sua famiglia avesse mai più potuto rivederlo. Il caso venne chiuso, archiviato e secretato e fu passato l'ordine tassativo di non parlarne più.
Ma all'insaputa dei leader sovietici la tentata fuga della Storozhevoy era stata seguita dagli osservatori NATO, che durante la Guerra Fredda tenevano sempre sotto controllo i porti sovietici, che interpretarono la vicenda, erroneamente, come un tentativo di defezionare in Svezia. La notizia venne pubblicata all'estero e nel 1982 fu soggetto di un importante opera dello storico americano Gregory Young, Mutiny on Storozhevoy: A Case Study of Dissent in the Soviet Navy. La tesi di Young, improntata all'ipotesi della tentata defezione, venne letta quello stesso anno da un trentacinquenne assicuratore del Maryland, Tom Clancy, che si chiese cosa sarebbe successo se Sablin fosse riuscito davvero a defezionare, se al posto di una nave da guerra fosse stato alla guida di qualcosa di più insidioso, per esempio un sottomarino nucleare di ultima generazione, e se al posto del piccolo Mar Baltico la caccia avesse avuto luogo nell'immenso Oceano Atlantico. Due anni dopo Clancy pubblicò Caccia a Ottobre Rosso, che lo consacrò come un gigante del thriller politico-militare e lanciò la sua carriera di prolifico scrittore, e non possiamo fare a meno di chiederci se al Capitano Sablin non avrebbe fatto piacere ottenere, anche se solo nella finzione, il suo Ottobre Rosso.

Sanga da Baskerville





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