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La Russia e la grande occasione mancata

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Con l'aggressione russa all'Ucraina molti hanno parlato di un ritorno in auge delle logiche di potenza ottocentesche o, per lo meno, pre-1945. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi infatti espressioni come "guerre di conquista", "spartizioni territoriali" e "politica di potenza" erano cadute in disuso in favore di termini più eleganti (ma non per questo meno bellicosi) come "regime change", "esportazione della democrazia" ed "equilibrio di potenza". In sostanza, il focus della guerra si era spostato dalla conquista di territori altrui a una funzione più ideologica, cioè il cambio del sistema di governo del paese attaccato.

In pochi minuti la "guerra territoriale" ha fatto nuovamente irruzione sul palcoscenico internazionale

Purtroppo, parallelamente all'invasione russa, è scoppiata un'altra guerra, di media e di opinione, sulle "responsabilità" della guerra: da un lato chi ascrive le colpe alla condotta di Putin, dall'altro chi invece accusa la NATO e l'Occidente di aver provocato la crisi con i suoi affronti geopolitici alla Russia. Secondo la prima tesi la colpa della guerra è di Putin, un autocrate non nuovo al nazionalismo che ha ripetutamente adoperato l'aggressione militare come strumento di perseguimento dei propri interessi, al suo secondo attacco contro l'Ucraina; stando alla seconda invece è l'Alleanza Atlantica la ragione del conflitto, avendo portato avanti una politica anti-russa di provocazioni, espansioni e cambi di regime che ha finito per provocare Mosca. I primi portano come esempi gli attacchi alla Crimea e alla Georgia, i secondi la crisi di Cuba.

Questa discussione è destinata in buona parte a restare sterile: "La prima vittima della Guerra è la Verità", scriveva Tucidide parlando della Guerra del Peloponneso, in una situazione decisamente meno complicata della nostra e in cui per lo meno Atene e Sparta non cercavano di manipolare le informazioni a scopo propagandistico. Il rinfacciarsi le responsabilità di questo o quel bombardamento quotidiano rischia solo di ostacolare un dibattito di politica estera troppo a lungo trascurato (soprattutto in Italia) ma di vitale importanza. In attesa che la nebbia di guerra lasci il posto alla prossima tregua armata, possiamo però utilizzare alcuni dati di fatto storici e assodati per trarre alcune lezioni per il futuro.

Con lo scoppio del conflitto i media sono diventati campo di battaglia di opposte propagande di guerra

Alcuni autorevoli analisti internazionali hanno considerato come quanto avvenuto sia in ultima analisi frutto del fisiologico ritorno (al minimo sindacale, dato che le sue condizioni economiche restano mediocri) di potenza della Russia dopo la fase di profonda crisi attraversata durante la Presidenza Elstin.

Durante questo periodo i russi hanno (correttamente) compreso che le loro Forze Armate erano l’unica ragione per cui erano ancora ritenuti una grande potenza e l’unico motivo per cui la comunità internazionale non aveva appoggiato né le loro forze disgregatrici interne né di accanirsi fino al completo collasso economico durante il quasi default sfiorato nel 1998. All'opposto, l'Occidente si è mosso per confermare lo status di potenza di Mosca: ha ottenuto che la Russia mantenesse il seggio sovietico all'ONU, ha imposto alle repubbliche ex sovietiche (tra cui l'Ucraina) di consegnare gli armamenti sovietici, in particolare quelli nucleari, alla neonata Federazione Russa in quanto "legittimo proprietario", ha concesso prestiti che hanno mantenuto in vita l'economia russa. Addirittura, il 1 agosto 1991 il Presidente USA Bush si recò a Kiev e tenne un discorso contro l'indipendenza dell'Ucraina, cercando di frenare la disgregazione dell'ex URSS.

Sulle motivazioni di tali scelte torneremo più avanti ma ciò che conta è che, con quelle poche risorse che avevano a disposizione, i governanti del Cremlino hanno rispettato la consolidata tradizione storica russa (zarista prima, sovietica poi) di dare la priorità al comparto militare anche al costo di un abbassamento degli standard di vita, cosa possibile solo col mantenimento di un governo autoritario (infatti il tentativo di Gorbaciov di invertire il sistema ne ha comportato l'implosione innescata dalla contro-reazione delle gerarchie al potere).

Gli Anni Novanta furono un periodo di profonda instabilità per la Russia, con golpe falliti, lotte di potere tra generali ambiziosi e avidi oligarchi e molti nostalgici del Comunismo ancora in circolazione

Quando la fase di debolezza è terminata Mosca poteva contare solo sulle forze armate come strumento per segnalare il proprio ritorno in auge, senza poter infatti usare l’economia (essendo la Russia troppo debole da un punto di vista economico e non abbastanza influente a livello mondiale) o la cultura slavo-ortodossa-euroasiatica (che di fatto non riscuote grandi simpatie al di fuori di un gruppo di piccoli alleati tradizionali di Mosca, come la Serbia, e soprattutto appare geograficamente troppo limitante per una superpotenza globale). Il "rollback" della penetrazione anti-russa/occidentale nella vecchia sfera d’influenza moscovita non poteva dunque che avvenire manu militari, in ossequio alla celebre massima di Von Clausewitz per cui "La Guerra è il proseguimento della Politica con altri mezzi".

Il tema dunque non è tanto la penetrazione occidentale nella regione ex sovietica e se questa sia da leggere o meno come una provocazione nei confronti di Mosca. Come diceva Cartesio, "Natura abhorret a vacuo", la Natura rifiuta il vuoto e il Potere fa lo stesso: davanti al ritiro della potenza russa l'allargamento dell'influenza americana era pressoché inevitabile, almeno quanto la successiva contestazione russa una volta esaurita la fase del ritiro.

Il punto centrale è semmai la mancata integrazione della Russia del sistema internazionale nato all'indomani della vittoria americana nella Guerra Fredda. Sebbene Mosca sia stata invitata ai summit internazionali (come il G8), è evidente infatti come non sia stato fatto alcuno sforzo per "globalizzare" la Russia aiutandola a risollevare la propria economia e integrando così quest'ultima nel sistema internazionale. Con queste condizioni l'ammissione russa in contesti e formati creati su misura per le potenze occidentali prese la forma (o almeno, così venne inteso dai russi) di un tentativo di istituzionalizzare una condizione di debolezza della Russia come sottoposta alla maggiore forza americana incarnata appunto in tali organi internazionali.

Non ci sono molti casi di grandi potenze ridotte al lumicino e poi capaci di tornare a svolgere un ruolo preminente, almeno in età moderna, ma ve ne sono due che storicamente hanno fatto scuola, cioè la Germania e la Cina, e da entrambi traiamo lo stesso insegnamento.

L'esempio tedesco dimostra che potenze un tempo nemiche possono essere indotte ad abbandonare la guerra come strumento politico con il giusto approccio integrazionista

La Germania entrò nel XX secolo come una grande potenza in grado di contestare all'Impero Britannico la sua supremazia globale. La Grande Guerra ne stroncò l'ascesa e a quel punto Berlino si ritrovò ferita e umiliata ma non distrutta. Sarebbe stato possibile per le potenze vincitrici tendergli una mano assistendo la ricostruzione della sua economia disastrata e della sua popolazione alla fame ma questo non venne fatto. Come conseguenze le forze armate tedesche divennero l'unica istituzione stabile in Germania a cui aggrapparsi e il militarismo un'ideologia accettata pubblicamente, sicché quando i tedeschi uscirono finalmente dalla loro condizione di crisi videro nelle armi l'unico strumento con cui aspirare nuovamente alla grandezza, già prima dell'avvento del Nazismo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si decise di adottare la scelta opposta: facendo tesoro delle lezioni imparate, la Germania venne interamente ricostruita a spese dei vincitori e senza dover rimborsare un soldo nonostante le sue responsabilità belliche fossero molto più gravi rispetto al primo conflitto mondiale. Non solo ma poté anche integrarsi nel nuovo ordine globale, ricostituendo delle proprie forze armate in ambito NATO e aderendo alle nuove organizzazioni internazionali come la Comunità Europea e le Nazioni Unite da protagonista. Come risultato la Germania riuscì a ricrearsi un'economia forte in pochi anni e adottò il commercio come via maestra per riguadagnare la sua antica centralità sui palcoscenici internazionali, abbandonando la strada della politica di potenza armata.


Anche la Cina arrivò alla seconda metà del XX secolo in una situazione interna di profonda crisi: umiliata e sottomessa per lungo tempo (il "Secolo delle Umiliazioni") agli oppressori occidentali e giapponesi, dopo aver attraversato la Guerra Civile tra comunisti e nazionalisti e il disastroso periodo del Grande Balzo in Avanti e della Rivoluzione Culturale maoista la Cina contava milioni di caduti e un'economia arretrata e fortemente in difficoltà. Anche se le logiche atomiche della Guerra Fredda impedirono ai cinesi di lanciarsi in grandi guerre di conquista, è evidente come i primi trent'anni della Repubblica Popolare videro una Cina che puntava sull'esportazione di una certa ideologia (il Maoismo Terzomondista) come mezzo per recuperare l'agognata centralità, tradottasi poi nel sostegno ai guerriglieri vietnamiti, nell'occupazione del Tibet e nella strategia "Cina portavoce del Terzo Mondo". Questa china si è interrotta quando, come per la Germania, considerazioni geopolitiche hanno portato all'integrazione cinese nel sistema internazionale: le aperture diplomatiche seguite alla "diplomazia triangolare" di Kissinger negli Anni Settanta e soprattutto le aperture economiche degli Anni Ottanta hanno permesso all'economia cinese ("l'officina del Mondo") di decollare, dandogli le risorse per dare sostanza alla massima di Deng "Nascondi la tua forza, aspetta il tuo momento". Infatti, nei successivi quattro decenni la Cina ha potuto puntare sul "soft power" dovuto alla sua crescente potenza economica per costruirsi una leadership globale alternativa a quella americana, tanto da poter tenere le proprie forze armate (arsenale nucleare su tutti) in una posizione di relativa inferiorità rispetto agli Stati Uniti.

In assenza di un'economia sviluppata le forze armate sono rimaste il principale strumento con cui perseguire la propria politica estera, secondo una consolidata tradizione russa tesa a favorirle a scapito del tenore di vita dei suoi cittadini

Ora, tra il 1992 e il 2000 la Russia era davvero alla canna del gas. Di fatto era come se avesse perso una guerra e in effetti le cose stavano esattamente così: anche se la sconfitta patita nella Guerra Fredda non aveva comportato distruzioni sul proprio territorio, la Russia era rimasta comunque economicamente e socialmente devastata, tanto che le immagini dei russi in fila per il pane erano molto comuni.

Per ovviare a questo degrado le potenze occidentali "vincitrici" (cioè gli americani) avrebbero potuto presentare qualcosa di simile a un Piano Marshall per la regione ex sovietica, investendo per costruire economie e società civili in grado di sviluppare delle spinte interne alla globalizzazione. Non si è fatto e non si possono interamente biasimare i leader di allora per non aver battuto quella strada: l'opinione pubblica americana dimostrava una certa contrarietà all'idea, la Guerra Fredda aveva richiesto un esborso di risorse non indifferente e bisognava preventivarne uno ancora più ampio per organizzare il neonato "impero americano". Dopo mezzo secolo di rivalità era difficile considerare i russi degli alleati da aiutare. L'approccio occidentale alla Russia fu così determinato dal sospetto, di chi riteneva che Mosca sarebbe stata sempre un nemico e che dunque il Cremlino avrebbe usato i dollari regalati per riarmarsi; dal desiderio di rivalsa, che mirava a tenere la Russia in una posizione di debolezza e instabilità interna generalizzata per costringerla ad accettare un declassamento definitivo di potenza; dalla competizione, dettata dalla volontà di mettere le mani sulle regioni ex sovietiche come l'Europa Orientale o l'Asia Centrale. Il risultato è stato una via di mezzo tra queste tre strade (ognuna delle quali, prese singolarmente, avrebbe comportato un altro esito: il sospetto avrebbe portato all'isolamento, la rivalsa avrebbe richiesto l'instaurazione di un governo filo-americano nel paese, la competizione l'appoggio alla spinte centrifughe interne alla Federazione Russa) che è stata interpretata come arroganza egemonica di fronte all'umiliazione in cui versava la Russia. Come ho detto c'erano buone ragioni per perseguire questa strategia, poiché evidentemente aiutare gratuitamente i russi non si riteneva valesse la candela in un momento in cui gli USA apparivano come gli unici vincitori "alla fine della Storia" e in ogni caso non sarebbe mai stata accettato dalla propria opinione pubblica (come vi fu una forte opposizione interna alla concessione di miliardi di dollari di aiuti gratuiti agli italiani, ai tedeschi e ai giapponesi colpevoli del secondo conflitto mondiale. Va comunque notato che nel 1946 questa opposizione venne ignorata e superata, pur con il consistente supporto dato dalla necessità di contenere la "minaccia comunista").

Resta il fatto che il compromesso al ribasso tra la proposta di smantellare la Russia in toto come potenza (linea sostenuta dall'ex consigliere per la sicurezza nazionale Brzezinski), tramite l'appoggio ai suoi movimenti secessionisti e al ricorso alla guerra economica in un momento di vulnerabilità, e quella di conservarla intatta allo scopo di cooptarla dandole il ruolo di "stabilizzatore" dell'Eurasia settentrionale in cambio di assicurazioni strategiche sull'Ucraina (linea Kissinger) abbia prodotto come risultato una strategia ambigua, che non ha vibrato il colpo di grazia ma neanche ha aiutato Mosca a superare i suoi problemi, lasciandola a marcire nel suo rancore e con la possibilità di tentare una vendetta in futuro (per seguire il paragone storico, a Versailles la proposta francese di abolire la Germania come potenza mediante una vera e propria spartizione e quella wilsoniana di perdonarla e riammetterla nel novero delle grandi nazioni senza penalità rilevanti furono entrambe accantonate in favore di una mediazione che produsse la Germania di Weimar, cioè uno stato umiliato ma non distrutto, potenzialmente in grado di compiere nuove aggressioni e senza alcun buon motivo per non provarci).


Resta così il dubbio finale: se negli Anni Novanta l'Occidente avesse abbracciato la Russia, investendo generosamente e a fondo perduto nel paese secondo il principio che il primo popolo oppresso dal defunto regime era quello composto dai suoi connazionali (argomento usato appunto già coi tedeschi e gli altri popoli dell'Asse dopo la WWII), avrebbe potuto integrarla nel sistema internazionale legandola a sé in un network di interdipendenze economiche che non avrebbe comportato la rinuncia a una sua idea di potenza ma avrebbero potuto fornirle altri mezzi per perseguirla, come avvenuto per il caso cinese e tedesco?

Alla luce di un possibile futuro confronto con la Cina e con la Russia e a un eventuale crisi di quest'ultima legata allo sforzo militare in Ucraina, la risposta a questa domanda risulta sempre più pressante.


Sanga da Baskerville

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