A due settimane dall'apertura della XXVI Conferenza sul Clima COP26 a Glasgow, in Scozia, già funestata da problemi organizzativi e sterili dispute tra blocchi contrapposti, a tenere banco sui mercati mondiali non sembra essere la volontà di moderare il consumo delle risorse naturali quanto una fame di energia che il sistema economico fatica a tenere a bada. Molti paesi (in primis Cina e India) hanno intensificato l'estrazione di carbone e altre risorse fossili per venire incontro alla maggiore domanda energetica, che ha già causato devastanti blackout, mentre altri si sono rivolti ai mercati internazionali per acquistare le materie prime necessarie (è il caso dell'Unione Europea che, a corto di gas e alle porte dell'inverno, si è rivolta alla Russia).
Appare evidente come le energie cosiddette fossili non possano più rappresentare il futuro del nostro approvvigionamento energetico: in rapido esaurimento, il loro uso non solo risulta dannoso per la nostra salute e per l'ambiente ma ci espone anche, geopoliticamente parlando, ai ricatti delle grandi compagnie che già controllano il settore petrolifero e quello del gas naturale e delle nazioni esportatrici, in primis l'Arabia Saudita (basti pensare a quanto poca attenzione - e danni - avrebbe ricevuto il Medio Oriente senza il suo "oro nero") ma anche la Russia, l'Egitto, gli Emirati, il Qatar e l'Algeria, che già una volta (nel 1973, durante lo Shock Petrolifero, tennero in scacco l'Occidente).
Un mio collega di questo sito - che stimo e rispetto - ha suggerito l'energia nucleare come alternativa credibile ma io non sono della sua stessa opinione.
Il mio collega asserisce, giustamente, che le energie fossili provochino più morti, per malattie legate all'inalazione di anidride carbonica di scarto, di quelli causati dell'energia atomica.
Tuttavia, un problema di metodo fa sì che questo paragone non stia in piedi: i numeri si riferiscono a decessi causati dal contatto con il principale "prodotto di scarto" di queste due forme di energia, ovvero anidride carboni e radiazioni, ma il confronto non tiene conto del fatto che la prima, in assenza della tecnologia adatta a stoccarla (tecnologia che è stata scoperta solo negli ultimi dieci anni), veniva liberata senza problemi nell'atmosfera da quasi due secoli mentre la seconda, scoperta ottant'anni fa assieme ai materiali (come il piombo) capaci di contenerla, è sempre stata tenuta al di fuori del contatto quotidiano della gente. In altre parole, il numero di persone esposte alle due forme di energia è profondamente diverso e dunque anche il numero delle vittime.
Per capire meglio immaginiamo due veleni: il primo veleno, in uso da molto tempo, lo somministro a dieci persone e ne muoiono cinque, il secondo, più recente, lo somministro solo a due persone e ne muore una. Possiamo quindi davvero dire che il primo siano più letale del secondo?
Ovviamente no, perché un paragone sia corretto dev'essere a parità di fattori, altrimenti i risultati risultano irrimediabilmente sfalsati. In questo caso la domanda dovrebbe essere quanta gente è stata esposta all'anidride carbonica prodotta dai carburanti fossili (probabilmente ogni abitante di ogni area urbana degli ultimi duecento anni più o meno, cioè indicativamente nell'ordine di qualche miliardo di persone) e quante di queste persone sono poi morte per patologie legate all'inquinamento fossile, rispetto a quanta gente è stata esposta a un elevato tasso di radiazioni e quanta di questa è poi deceduta prematuramente a causa di questa esposizione.
Ma vi è anche un'altro aspetto non compreso nell'analisi di cui sopra, quello dell'abitabilità, che è probabilmente il vero nocciolo alla base dell'insicurezza dell'energia nucleare: ogni valutazione di sicurezza si fa sulla base di un analisi costi-benefici, dove i costi includono anche i potenziali danni. Ebbene, chiunque sia mai stato in città sa perfettamente che, per quanto dannoso per la salute sul lungo termine (alla pari del fumo), l'esposizione ad alti tassi di smog non rende un luogo inabitabile, anzi la semplice sospensione dell'attività inquinante comporta un'immediata caduta dell'inquinamento circostante, grazie allo smaltimento naturale dovuto all'azione degli alberi. Lo si è percepito chiaramente durante lo stop del traffico e delle maggiori industrie durante il lockdown, per le stesse ragioni che spingono i Comuni ha sospendere per qualche giorno la circolazione delle automobili quando le emissioni superano una soglia critica. All'opposto le radiazioni contaminano una zona per un tempo lunghissimo e non possono essere debellate da nessuna tecnologia o rimedio naturale, che non sia la normale estinzione dopo secoli di radioattività. Nel frattempo le piante che sorgono in loco sono contaminate e tossiche e così il DNA degli animali colpiti, per generazioni e generazioni.
Questo argomento vale anche per gli incidenti. Un incidente a una centrale non-nucleare provoca danni immediati ma lascia intatta la possibilità di ricostruire e ritornare ad abitare la zona colpita: per esempio, la cittadina di Longarone, in Veneto, tristemente nota per il Disastro del Vajont del 1963 legato alla famigerata diga (energia idroelettrica), oggi conta più abitanti di quanti non ne avesse al tempo della sciagura. Non si può dire certo altrettanto di Chernobyl (dove ancora oggi il governo ucraino spende miliardi di dollari per rinforzare periodicamente la "copertura protettiva" che impedisce al nocciolo fuso di continuare a rilasciare radiazioni) o di Fukushima, destinate a rimanere zone morte ancora per molti secoli.
Agli incidenti dovuti a un errore umano o tecnico si sommano i rischi dovuti all'ambiente circostante, come testimonia il caso di Fukushima dove, nonostante le tecnologie anti-sismiche all'avanguardia che il Giappone mette in campo da decenni, non si è riusciti a scongiurare il disastro. L'Italia è una nazione con quasi la metà del territorio (il 44% secondo la Protezione Civile, in base al rapporto 2015) ad alto rischio sismico (non che questo esenti l'altra meta, visto che il Sisma dell'Emilia del 2012 avvenne in una zona a basso rischio) e con il 91% (dati 2018 dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) dei Comuni a elevato rischio idrogeologico (inondazioni, frane, cedimenti improvvisi).
Ovviamente questo non ci ha mai fermato dal costruire infrastrutture ma converrete con me che un ponte che crolla lasci danni a lungo termine decisamente inferiori a una centrale nucleare che collassa. Anche l'argomentazione degli attivisti pro-nucleare che puntano il dito sulla presenza di centrali nucleari nei paesi confinanti non tiene conto del rischio sismico quasi assente in nazioni come Francia, Germania, Svizzera, eccetera eccetera (anzi, sfido chiunque a trovare un altro paese europeo con un sfilza di terremoti devastanti come quelli patiti dal Belpaese solo negli ultimi cento anni).
Insomma, a un'attenta analisi costi-benefici i costi (alias i potenziali danni) dell'energia nucleare si rivelano più alti di qualunque altra fonte energetica sul pianeta, risultando quindi sconveniente. Gli stessi dati OWID citati dal mio collega segnalano come le energie rinnovabili abbiano tassi di mortalità inferiori a un terzo rispetto all'energia nucleare.
Il confronto con l'energia fossile non regge ma, anche se lo facesse, ciò distoglie dal fatto che le energie rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico) detengono tutte tassi di vittime e di danni collaterali dovuti alla (non) presenza di scorie di gran lunga inferiori rispetto a qualunque cosa il petrolio, il gas o l'energia atomica possano offrire.
Per questo paesi leader nel settore nucleare come la Germania hanno annunciato la chiusura delle loro centrali e la conversione del loro sistema energetico a fonti rinnovabili.
Ma il nucleare presenta anche un'altra caratteristica svantaggiosa, che lo accomuna alle energie fossili: è una risorsa finita, controllata da poche compagnie e da pochi paesi. Dal momento che l'Italia non possiede giacimenti di uranio (il minerale alla base dell'energia nucleare) come non ne possiede di petrolio o di gas, il nostro paese sarà sempre vulnerabile ai ricatti delle compagnie energetiche (l'uranio è già una delle materie prime più costose al mondo e il prezzo è destinato ad aumentare con l'assottigliarsi dei giacimenti e l'abbandono delle fonti fossili) e dei paesi produttori (come Russia, Cina e Kazakhstan).
Insomma, il passaggio al nucleare non assicura nessun calo delle nostre bollette per il semplice fatto che non dipenderebbe da noi, come non lo dipende adesso.
Al contrario, la luce solare, il vento e i fiumi sono per legge beni pubblici incedibili. Quand'anche la gestione delle centrali elettriche rinnovabili fossero appaltate a imprese private, la proprietà resterebbe pubblica e lo Stato italiano potrebbe intervenire con tempestività, al riparo da qualunque speculazione di mercato, scarsità della materia sui mercati internazionali o crisi diplomatica con un paese produttore. Poiché anzi le fonti rinnovabili generano energia con maggiore costanza e con garanzie virtualmente infinite sul lungo periodo (pensiamo all'energia solare per esempio) non solo i costi iniziali verrebbero rapidamente recuperati ma il mercato energetico risulterebbe più stabile e i costi in bolletta a carico dei consumatori inevitabilmente più bassi.
Indipendenza energetica nazionale, rischi minori rispetto a tutte le alternative disponibili, prezzi più bassi, maggiori garanzie per il futuro. La tecnologia c'è già, dobbiamo solo utilizzarla.
Sanga da Baskerville
Nota: per il presente articolo si è fatto riferimento a numerosi fonti, tra cui il Rapporto ISPRA 2018, il Rapporto Nazionale della Protezione Civile del 2015, Rapporto OWID "What are the safest sources of energy?" (2020), The Guardian, Internazionale.
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