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Erdogan, il Sultano che traballa

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Questa settimana le notizie economiche sono state quasi interamente monopolizzate dal blocco del Canale di Suez e da come questo mega "ingorgo" abbia messo sotto pressione l'economia mondiale, il che ha fatto passare quasi inosservate altre notizie importanti che riguardano un paese chiave del Mediterraneo, la Turchia, e che quindi interessano da vicino anche l'Italia.

Recep Tayyip Erdogan, 67 anni, al potere da 18, soprannominato "il Sultano".

Il Presidente/autocrate turco Recep Tayyip Erdogan, al potere dal 2003, ha infatti defenestrato il governatore della banca centrale turco Naci Agbal per rimpiazzarlo con un suo fedelissimo. Si tratta del terzo cambio di vertice in meno di due anni ai vertici del principale istituto finanziario pubblico del paese ed è sintomo delle difficoltà che sta attraversando la Turchia. Nel corso degli anni Erdogan ha accentrato sempre più il potere, cambiando la Costituzione, riducendo al silenzio i tribunali e i giornalisti d'opposizione, reprimendo con forza le proteste delle università e della società civile, purgando i militari, le moschee e le associazioni di categoria per riempirle di suoi affiliati. Per poterlo fare si è progressivamente costruito una base nella parte più religiosa, conservatrice e nazionalista dell'elettorato turco, corteggiandolo con la reintroduzione di leggi di ispirazione religiosa, un propaganda centrata sul ritorno ai fasti dell'Impero Ottomano e una politica estera aggressiva. Trovata un'inedita intesa con la Russia (vedasi precedente post sull'Armenia), Ankara ha sostenuto l'Azerbaijan nella sua lotta per il Nagorno-Karabakh e ha occupato parte della Siria settentrionale, soprattutto per evitare che le formazioni kurde, che nei momenti più bui dell'ascesa dell'ISIS hanno sostenuto quasi da sole il peso della lotta contro lo Stato Islamico, impedendo che questo marciasse su Damasco e Baghdad prima dell'intervento della coalizione a guida occidentale. É poi intervenuta pesantemente in Tripolitania a sostegno del Governo di Tripoli nella guerra civile che flagellava la Libia (non a caso un ex colonia ottomana) e ha tentato prove di forza con la Grecia e Cipro, tecnicamente suoi alleati all'interno della NATO, per rivendicare il controllo delle acque dell'Egeo e soprattutto dei giacimenti energetici recentemente scoperti sotto di esse (scoperti anche dall'ENI, peraltro).

La Turchia ha innescato un'escalation con le sue aggressive manovre navali, soprattutto nell'Egeo.

Questo atteggiamento non solo ha provocato un raffreddamento con i paesi occidentali, ben rappresentato dal blocco USA alla vendita di sistemi missilistici ad Ankara, sebbene Trump abbia più volte manifestato simpatia per il tiranno turco, ma ha finito anche per pesare fortemente sui bilanci della nazione anatolica: le spese militari, sommate alla diminuzione dei commerci con l'Europa (per quanto anche l'UE abbia mantenuto le relazioni aperte pur di avere la cooperazione di Ankara sul tema del controllo delle migrazioni), hanno progressivamente mandato in rosso l'economia turca e questa già prima dell'arrivo del Covid-19. La Lira turca è sempre stata una moneta debole con un'alta inflazione (cioè una grande quantità di moneta in circolo ma di scarso valore e quindi con alti prezzi) ma il deteriorarsi delle condizioni socio-economiche hanno fatto finire la situazione fuori controllo. Normalmente la banca centrale avrebbe reagito alzando i tassi d'interesse; questo avrebbe provocato un rialzo dei costi dei mutui e dei prestiti bancari, il che avrebbe diminuito il denaro in circolazione, fatto calare l'inflazione e con lei i prezzi stessi. É una manovra impopolare sul breve termine, in quanto all'inizio i prezzi rimangono alti mentre salgono le somme da pagare per i mutui, ma è una regola classica della dottrina economica. Ma Erdogan ha posto un'inamovibile veto, rifiutando di rischiare di scontentare la sua base con anche solo l'ombra di un'economia non in salute, e la disputa sulla strategia economica da seguire è così costata, in rapida successione, a ben tre governatori della banca centrale. La conseguenza immediata del licenziamento di Agbal è stato un ulteriore crollo del 17% della Lira turca rispetto al dollaro e un'ulteriore destabilizzazione dell'economia turca.

Sostenitori dei Lupi Grigi durante un comizio.

Potrebbe sembrare strano che un dittatore come Erdogan si preoccupi tanto e tanto testardamente di una questione così tecnica ma questa vicenda mostra le preoccupazioni del sultano padrone della Turchia, il cui trono già da tempo scricchiola sotto il peso della corruzione, dell'autoritarismo e delle costose guerre all'estero. Nel 2018 la formazione di Erdogan, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), ha perso la maggioranza parlamentare alle elezioni ed è stato costretto ad allearsi con Movimento Nazionalista, un partito di estrema destra che è il braccio politico del gruppo terroristico Lupi Grigi (quelli un cui membro sparò a Papa Giovanni Paolo II nel 1981, per intenderci), per mantenere il potere. La necessità di non perdere la faccia davanti ai suoi sostenitori e il sostegno dei nazionalisti in parlamento spiega anche la volontà di Erdogan di insistere nelle sue ambiziosi espansioniste piuttosto che porvi un freno per far riprendere fiato all'economia. Poi nel 2019 Erdogan ha subito un'umiliante sconfitta alle elezioni locali: tutte le grandi città della Turchia hanno eletto sindaci dell'opposizione, compresa Ankara, la capitale, e Istanbul, la città natale di Erdogan che proprio lì, proprio come sindaco, aveva iniziato la sua carriera politica. In quest'ultima città Erdogan aveva persino fatto annullare la vittoria del candidato d'opposizione, lo sconosciuto Ekrem Imamoglu, contro un peso massimo dell'AKP come l'ex Primo Ministro Binali Yildrim, ma il nuovo voto lo ha umiliato, riconfermando la vittoria di Imamoglu con un margine persino maggiore. Lo stesso Imanoglu, insieme al suo collega di Ankara Mansur Yavas, appaiono oggi come i principali papabili per il ruolo di candidati di un'opposizione finalmente unificata contro il governo del "Sultano".

Da sinistra, Mansur Yavas ed Ekrem Imanoglu, i nuovi volti dell'opposizione anti-Erdogan.

Erdogan sente la sua debolezza e la teme. Per questo ha cercato di ridurre ai suoi ordini anche il sistema economico, rimuovendo i capi della banca centrale e nominando suo genero, Berat Albayrak, come Ministro delle Finanze; per questo cerca di tenersi buona la sua base islamista e conservatrice uscendo della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne; per questo ha chiesto lo scioglimento del Partito Democratico Popolare, terza formazione politica del paese, votata soprattutto dalla oppressa minoranza kurda, con pretestuose accuse di sovversione; per questo ha annunciato un cambio della legge elettorale prima delle prossime elezioni. Queste si terranno nel 2023, sia presidenziali che parlamentari, e saranno la madre di tutte le battaglie. Con l'economia a pezzi, una politica estera che finora ha dato pochi frutti al netto della propaganda e isolato diplomaticamente dopo l'uscita di scena di Trump, Erdogan si sta giocando tutti i suoi trucchi da tiranno per cercare di restare in sella. L'anno dopo, nel 2024, si celebrerà il centenario della nascita della Repubblica Turca. Erdogan spera di essere rieletto e con questa vittoria consacrare una rifondazione morale e valoriale della Turchia, lontana dal modello fortemente laico e repubblicana del suo fondatore, il generale Mustafa Kemal Ataturk, in favore di una "nuova Turchia", autocratica, islamista e ultra-nazionalista. Ma questo modello sembra già vecchio agli occhi di molti turchi e, stretto tra la crisi economica e i suoi ingombranti alleati nazionalisti, il Sultano dovrà presto ponderare se il suo "nuovo Impero Ottomano" ricordi più quello glorioso di Solimano il Magnifico oppure semmai il "Malato d'Europa" che un secolo fa collassava a causa dei suoi cronici problemi interni e di una classe politica che preferì non vederli per farsi accecare dalle illusioni di un facile nazionalismo.


Sanga di Baskerville


Per la realizzazione di questo articolo si sono consultati mezzi di informazione nazionali e internazionali, tra cui The Guardian, Internazionale, Huffington Post.

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