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Danae, la donna dell'eros

logosgiornale

C’era una volta… Ma questa è un’altra storia, di quelle che finiscono con «E vissero tutti felici e contenti». Questa invece è una storia che ha per luogo l’antica città di Argo, in Grecia, nell’anno… Beh, non lo sappiamo. La nostra vicenda è avvolta nel mito e risale almeno a tre o quattro generazioni prima della nascita di Eracle, noto eroe e semidio, che pure era di una generazione più vecchio delle vicende della guerra di Troia narrate nell’Iliade, che oggi gli studiosi datano alla fine del XII secolo a.C., fra il 1194 e il 1184 a.C. (beninteso, solo le vicende risalirebbero a quell’epoca; l’opera di Omero, se pure Omero è realmente vissuto, risalgono secondo la maggior parte della dottrina all’VIII-VI secolo a.C. In ogni caso non è questa la sede).

La protagonista di questo racconto è una giovane ragazza di nome Danae, unica figlia di Acrisio, re di Argo. Danae era una spensierata e bella principessa greca, verosimilmente impegnata nelle faccende che occupavano le giovani aristocratiche di quel tempo, seduta al telaio in compagnia delle sue ancelle. Suo padre però avrebbe tanto voluto un erede e così, fatti armi e bagagli, si diresse a Delfi, il luogo più sacro dell’antica Grecia, per interrogare l’oracolo di Apollo; e mal gliene incolse. Quest’ultimo non solo gli aveva predetto che non avrebbe avuto altri figli al di fuori di Danae, ma lo aveva anche avvisato che il nipote avuto da lei gli sarebbe stato fatale. E così, terrorizzato da quanto gli era stato detto, una volta fatto ritorno alla reggia, Acrisio decise (forse non proprio a malincuore) di rinchiudere la figlia in una cella sotterranea del suo palazzo, dalla quale non sarebbe più uscita, proprio per evitare che qualche aitante giovane la seducesse e gli regalasse un bel nipotino.

Ma il re Acrisio aveva fatto male i suoi calcoli, perché da una nube, lassù nell’Olimpo, Zeus doveva essere venuto a conoscenza del fattaccio e, vuoi per amore verso la povera ragazza, vuoi per dispetto nei confronti del poco amorevole padre, il dio, tanto potente quanto fedifrago, decise di far visita alla giovane prigioniera sotto forma di una pioggia dorata. Vasi e affreschi antichi e poi Tintoretto, Tiziano, il Primaticcio, Tiepolo, Rembrandt e anche Egon Schiele hanno trattato questo soggetto. Klimt non fu da meno a nessuno di questi autori e, come tutte le sue opere, che celano, dietro allo sfarzoso decorativismo e l’inquietante erotismo, simboli e allegorie di un’umanità dolente, la Danae del 1907 non fa eccezione.

Protagonista dell’opera è la coscia di Danae, così ampia, sproporzionata, eppure seducente: è la determinazione del piacere avvolgente; un piacere non celato, e anzi espresso sul volto, con la bocca socchiusa e la testa reclinata in segno di abbandono. Il ritmo jazz del dipinto trasporta il momento mitico in una dimensione sonora, in cui è possibile percepire il tintinnio delle monete e il desiderio di non lasciarne sfuggire nessuna. Ma il piacere raffigurato è un piacere drammatico, che mette in luce una forza che possiede la ragazza in modo tormentoso, in un’atmosfera onirica e insieme di estasi.

Da quell’unione Danae darà alla luce un bambino cui darà il nome di Perseo. Inutile dire che presto il padre della giovane lo venne a sapere, e non seppe darsi pace di come la cosa fosse potuta succedere. Accadde l’impensabile (o forse no): sua figlia fu tolta dalla cella, chiusa in una cassa insieme al bimbo, e gettata in mare. Tanta era la paura di Acrisio nei confronti del neonato nipote! E quando il vento che soffiava e il mare mosso impaurirono Danae chiusa nella cassa, ella abbracciò affettuosamente il figlio; le sue guance erano umide di lacrime mentre diceva:

«O figlio, quale pena soffro! Il tuo cuore non sa; e profondamente tu dormi così raccolto in questa notte senza luce di cielo, nel buio del legno serrato da chiodi di rame. E l’onda lunga dell’acqua che passa sul tuo capo, non odi, né il rombo dell’aria - nella rossa vestina di lana, giaci; reclinato al sonno il tuo bel viso. Se tu sapessi quello che è da temere, il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce. Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete abbia il mare; ed il male senza fine, riposi. Un mutamento avvenga ad un tuo gesto, Zeus padre; e qualunque parola temeraria io urli, perdonami; la ragione m’abbandona».


(Simonide, fr. 543 Page. Trad. di Salvatore Quasimodo).


La madre e il figlioletto riuscirono comunque a salvarsi e Perseo ebbe davanti a sé un radioso futuro. Ma questa è un’altra storia…


Paolo Di Carlo


Riferimenti bibliografici:

- Lirici greci (a cura di Simone Beta), Einaudi, 2014

- Károl Keréyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, il Saggaitore, 2017

- Porro-Lapini, Letteratura greca, il Mulino, 2020

- Giulio Guidorizzi, Letteratura greca, L’età arcaica, 2014

- Sylvie Ginard-Lagorce, Klimt, La realtà trasfigurata, Edizioni White Star, 2018

Riferimenti fotografici:

- Gustav Klimt, Danae, 1907-1908, collezione privata

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