«Stourley Kracklite (Architetto)» [tratto da una scena del film]. Basterebbero queste tre parole per delineare il protagonista della pellicola “Il ventre dell’architetto”, capolavoro dell’eclettico regista britannico Peter Greenaway, e con la straordinaria partecipazione musicale del compositore belga Wim Mertens; ma la sua firma non è sufficiente.
Stourley Kracklite (Brian Dennehy) è un brillante architetto di Chicago all’apice del successo quando giunge a Roma insieme all’affascinante e giovane moglie per allestire una mostra al Vittoriano dedicata a Étienne-Louis Bollée (1728-1799), l’artista che più di ogni altro ha influenzato il suo lavoro e la sua vita. Ma le affinità fra questi due uomini sono molto più profonde e indelebili di quanto Kracklite stesso non immagini.
Durante i nove mesi trascorsi in Italia, i continui richiami all’arte (“Andrea Doria nelle vesti di Nettuno”, Bronzetti, Milano, Pinacoteca di Brera) e
(Vittoriano, Pantheon, Mausoleo di Augusto e Villa Adriana), segno distintivo del cinema di Greenaway, incorniciano la storia della disperazione di un uomo. La verità è che Kracklite, come Boullée, è condannato a non veder mai realizzato nessuno dei suoi progetti, celebri, come celebri lo erano stati quelli del suo visionario maestro (“Cenotafio per Isaac Newton, “Torre a spirale” o “Progetto di Museo”). Ma un dissidio peggiore si insinua nella vita di Stourley: sospettando inizialmente di essere stato avvelenato dalla moglie fedifraga (peraltro incinta di lui) con dei fichi, nel solco della più illustre tradizione antica e rinascimentale, scopre infine che la causa del suo continuo e lacerante dolore al ventre è un cancro al pancreas che avidamente lo sta divorando. Lo stesso mostro che uccise, a quanto si dice, lo stesso Boullée.
Solo, malato e disilluso, l’architetto americano non ha più nessun freno e la voragine interna che lo consuma
fa emergere in lui tutta la parte più animalesca e brutale dell’animo umano, accompagnato in questo suo declino dai volti degli imperatori romani: Augusto e Adriano, quelli a cui è più legato, Galba, Tito, Nerone… tutti morti. La grandezza di Roma antica, che ora è percepibile soltanto nelle sue vestigia, costituisce quindi un paradigma sulla caducità delle cose umane, anche le più grandi.
Non rivelerò il finale di questo film. Lascerò invece che la curiosità di ciascuno sia soddisfatta dalla visione e, possibilmente, dall’apprezzamento del medesimo.
https://www.youtube.com/watch?v=pfmz_MDS0u8
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