Scrissi una volta che «i numi dell’Olimpo non hanno mai smesso di mescolare le loro emozioni a quelle degli uomini». Credo infatti che sia per colpa loro se talvolta le nostre vite prendono strade che noi non avremmo mai pensato di percorrere. Ecco perché ancora oggi tutti gli uomini sono come sabbia nel deserto in balia del vento, perché siamo turbati dai capricci di quegli antichi dei che non si sono rassegnati a vivere soltanto nel marmo delle antiche statue.
Questa è la storia di Titone, giovane principe troiano di straordinaria bellezza, ancora acerba, appena sbocciata, eppure magnetica: essa gli fu a un tempo motivo di gloria e abisso nel baratro.
Riferisce lo storico greco Diodoro Siculo che questi fosse figlio di Laomedonte, quinto re di Troia, e di Strimo, e perciò fratello maggiore del futuro e ben più noto re Priamo (quello dell’ʺIliadeʺ, per intenderci). La sua grande passione era la pesca, hobby che, si sa, esige delle levatacce se la si vuol praticare seriamente. Sicché ogni giorno Titone si attrezzava di tutto l’occorrente, scendeva al molo quando ancora faceva buio e il mondo indugiava nel letto e lì lanciava nel mare livido l’amo con il quale avrebbe inconsapevolmente pescato la sua sciagura. Il giovine infatti era il primo umano che Eos, l’Aurora dalle dita di rosa, scorgeva ogni mattina dal suo carro: nel giro di poco tempo la dea fu colta da una passione irrefrenabile per la bellezza puerile di quel pescatore distratto. Ma più che di amore dové trattarsi di un capriccio: lo rapì e lo portò con sé in Etiopia, almeno secondo quanto affermano Apollodoro e Diodoro Siculo, e lì lo amò perdutamente per giorni e giorni. Ma gli dèi, si sa, sono viziati, ed Eos non era da meno a tanti altri; andò da Zeus per chiedergli di rendere immortale il suo amante e di farlo vivere in eterno ed egli la esaudì con spiccio. Sciagurato Titone! Lascio alle parole di Omero il motivo di tanta disgrazia: «la venerabile Eos fu ingenua, non pensò di chiedere la giovinezza e di la vecchiaia rovinosa. […] Quando l’odiosa vecchiaia si abbatté su Titone, che non era più in grado di muovere o alzare le membra, questa parve alla dea la decisione migliore: lo ricoverò in una stanza e chiuse le fulgide porte».
Cieca, distratta o ingenua, la dea del mattino condannò il ragazzo a vivere una vita eterna e a soffrire i dolori di una eterna vecchiaia. Nel corso dei secoli di lui non rimase altro che la voce che spirava da una fessura nel muro.
Paolo Di Carlo
Riferimenti bibliografici:
- Inni omerici, a cura di G. Zanetto, BUR, 2019
- Diodoro Siculo, Biblioteca storica, vol II, BUR, 2015
- Apollodoro, Biblioteca, Oscar Mondadori
- Antichità classica, Garzanti, 2000
Riferimenti fotografici:
- Francesco De Mura, Eos e Titone, Gallerie nazionali di Capodimonte
- Herbert James Draper, The Gates of Dawn, Londra, Royal Academy of Arts
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