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Cosa sta succedendo in Armenia?

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Da diversi giorni il piccolo paese caucasico sta attraversando una profonda crisi politica, con manifestazioni di piazza contrapposte, minacce di golpe e tentativi insurrezionali. Alla base c'è il braccio di ferro tra il giovane Primo Ministro Nikol Pashinyan e i vertici dell'Esercito armeno in merito alla recente disfatta militare subita dall'Armenia nel conflitto per il Nagorno-Kharabakh.

Nikol Pashinyan, Primo Ministro dell'Armenia.

Tristemente nota per il genocidio subito da parte dei turchi ottomani alla fine della Prima Guerra Mondiale, l'Armenia è un piccolo paese di circa tre milioni di abitanti (ma con circa altri otto milioni di armeni che vivono all'estero come conseguenza della diaspora armena causata dal genocidio del 1918) incastonato tra le montagne del Caucaso. Dichiarata l'indipendenza all'indomani della dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991, l'Armenia si è ben presto trovata coinvolta in un lungo e sanguinoso conflitto con il vicino Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Kharabakh (che gli armeni chiamano Artsakh), una regione appartenente all'Azerbaijan ma abitato per tre quarti da armeni. Durante la Prima Guerra del Nagorno Kharabakh (1992-1994) gli armeni sconfissero gli azeri dopo violenti combattimenti e occuparono un'area pari a circa un sesto del territorio dell'Azerbaijan, compresi la maggior parte dei territori contesi. Da allora la situazione tra le due nazioni era rimasta tesa. Come spesso accade il conflitto tra due nazioni minori per questioni assolutamente locali è diventata l'occasione per una sfida tra due potenze maggiori: la Turchia infatti ha da sempre sostenuto l'Azerbaijan in nome del comune nazionalismo (entrambi i popoli infatti sono di cultura ed etnia turcomanna), mentre la Russia ha generalmente appoggiato l'Armenia per puntellare il proprio fianco meridionale. Negli ultimi anni Mosca e Ankara si erano però avvicinate: entrambi i loro leader avevano infatti intuito l'utilità del nazionalismo anti-occidentale per mantenere la presa sui rispettivi popoli. Anche per questo, lo scoppio delle ostilità nel Caucaso ha sorpreso tutti gli analisti, che si aspettavano che Russia e Turchia tenessero a bada i rispettivi alleati in nome della realpolitik.

Ma in un angolo del mondo dove le dinamiche tra le potenze sui due lati del Mar Nero influenzano pesantemente la politica e la cultura locale fin dai tempi degli Zar e dei Sultani è possibile anche un'altra lettura degli eventi.

Nella primavera 2018 infatti il tentativo di cambiare la Costituzione per rafforzare i propri poteri da parte dell'autoritario e corrotto governo del Primo Ministro armeno Serzh Sargsyan ha provocato un'autentica sollevazione popolare, che ha costretto Sargsyan alle dimissioni e incoronato nuovo capo del governo il 43enne giornalista anti-corruzione Nikol Pashinyan, già leader della formazione liberale Patto Civico. Il nuovo, giovane leader armeno aveva suscitato grandi promesse con le sue posizioni pro-democratiche, anti-oligarchi e filo-europee, cosa che non aveva mancato di suscitare il contrariato disappunto del governo russo. Poi, nell'autunno del 2020 l'esplosione della violenza nel Nagorno-Kharabakh e la ripresa del conflitto: le forze armate azere, addestrate e rifornite di armi dalla Turchia e da Israele, hanno sferrato una forte offensiva contro le posizioni azere e, dopo sei settimane di brutali combattimenti, hanno fatto breccia e riconquistato la maggior parte dei territori perduti nel 1994.

Un soldato accanto a un veicolo distrutto poco lontano dalla linea del fronte nel Nagorno-Kharabakh.

Solo allora la Russia è intervenuta, facendo pressioni per la firma di un nuovo cessate il fuoco tra le due nazioni che riconoscesse le acquisizioni azere. L'Armenia è stata costretta a sottoscrivere questa tregua umiliante, il che ha scatenato le veementi proteste dei nazionalisti contro Pashinyan, accusato di aver tradito l'irredentismo armeno. Il Primo Ministro, il cui figlio è stato arruolato e ha combattuto in prima linea durante le ostilità, si è difeso dichiarando di aver fatto il possibile e ha implicato che i missili promessi dalla Russia fossero in realtà non funzionanti, cosa che avrebbe lasciato le forze armate armene, già numericamente svantaggiate, in chiara inferiorità. La notizia confermerebbe un'ipotesi che circola tra gli analisti e cioè che la Russia abbia "lasciato fare" ai turchi e ai loro alleati azeri per umiliare e ridurre in ginocchio un governo che aveva segnalato l'intenzione di mostrarsi più autonomo da Mosca. Poco dopo però il generale Tiran Khachatryan ha negato tali affermazioni e ha attaccato nuovamente la conduzione del conflitto da parte del Primo Ministro il quale, in risposta, ha licenziato in tronco l'ufficiale insubordinato. Il braccio di ferro tra il governo civile e le autorità militari è quindi esploso quando il comandante dell'esercito Onik Gasparyan, assieme ad altri 40 ufficiali, ha firmato una lettera aperta in cui ha dichiarato il Primo Ministro "incapace di prendere le giuste decisioni in questo momento di crisi per l'Armenia" e ne ha chiesto le immediate dimissioni. Pashinyan ha risposto accusando i militari responsabili di voler attuare un colpo di stato e ha ordinato la loro rimozione, ma il Presidente della Repubblica Armen Sarksyan, vicino all'ex leader deposto e oggi capo dell'opposizione Sargsyan, ha rifiutato di firmare il decreto dichiarando di ritenerlo incostituzionale. Mentre governo e opposizione chiamano i loro sostenitori a occupare le piazze della capitale per mostrare il proprio sostegno alle rispettive cause (nei giorni scorsi i manifestanti anti-governativi hanno anche occupato la sede del Parlamento), l'Armenia si ritrova così paralizzata da questo stallo istituzionale e pericolosamente vicino al collasso di una società giù fortemente provata dal Covid, dalla recessione economica e dalla sconfitta militare. Negli ultimi giorni Pashinyan ha proposto come soluzione l'indizione di elezioni anticipate perché siano gli armeni a decidere le sorti del paese. Non ci resta che sperare che la ragione prevalga sulle teste calde e che la situazione non conosca un'ulteriore escalation.

Manifestanti anti-governativi sfilano a Yerevan, capitale dell'Armenia.

Sanga da Baskerville


Fonti: per la scrittura di questo articolo si sono adoperati numerosi mezzi d'informazione tra cui menzioniamo The Guardian, La Repubblica, ANSA.

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